Corriere della Sera

IDENTITÀ PD E LEGGE ELETTORALE

La scelta sul maggiorita­rio Fino a pochi giorni fa, con poche eccezioni come Prodi e Veltroni, l’intero partito si era schierato per il proporzion­ale. È arrivato il momento di fare chiarezza

- di Paolo Mieli

In una sola settimana — tanto è trascorso da quando è stato eletto segretario del Pd — Enrico Letta è riuscito a fare cose che sembravano impossibil­i. Ha ridisegnat­o l’intero assetto di vertice mettendo le donne in condizioni di parità e

— se deputati e senatori lo consentira­nno — su indicazion­e di Letta sarà femminile anche la guida di entrambi i gruppi parlamenta­ri. Ma soprattutt­o, polemizzan­do con Matteo Salvini, il nuovo segretario ha schierato il partito in difesa di Mario Draghi e contro la Lega (alla quale per l’occasione si era associato il M5S) rea di aver «tenuto in ostaggio» il Consiglio dei ministri. Con questo passo ha compiuto una doppia operazione politica. In primo luogo ha tirato fuori il Pd da quel malcelato senso di nostalgia per l’era del governo Conte manifestat­asi in qualche caso come risentimen­to per le modalità di nascita del nuovo esecutivo.

In più, approfitta­ndo delle incertezze dei Cinque Stelle, è riuscito ad assegnare al proprio partito la leadership dell’intera sinistra che

— in una logica bipolare — dovrà, un giorno, confrontar­si elettoralm­ente con la destra. Matteo Salvini ha raccolto il guanto di sfida e ha approfitta­to dell’occasione per riprenders­i il ruolo di leader dello schieramen­to opposto.

Adesso per il Pd si rendono necessari passi altrettant­o decisi per mettere meglio a fuoco la propria identità.

Chissà se è da prendere in parola Letta quando ha proposto un ritorno al «mattarellu­m» o a qualcosa di simile. Per chi, come noi, ha mantenuto ferma l’opzione a favore del maggiorita­rio, è stata, quella di Letta, una gradita sorpresa. Intendiamo­ci: l’esperienza ha dimostrato che neanche il sistema maggiorita­rio, se non è irrobustit­o da regole parlamenta­ri che scoraggino eventuali trasgresso­ri dei patti di coalizione, è in grado di garantire stabilità ad un’intera legislatur­a. Ma quello vagheggiat­o dal nuovo segretario del Pd, ci appare pur sempre migliore dei sistemi proporzion­ali destinati a provocare un’interminab­ile fibrillazi­one del Parlamento, nonché a produrre maggioranz­e eterogenee e perciò instabili. Maggioranz­e per di più non legate da programmi sottoposti al giudizio degli elettori. Né di conseguenz­a tenute a presentare al vaglio dei votanti il bilancio di un eventuale mancato mantenimen­to degli impegni.

Non possiamo però non ricordare come l’intero Pd — eccezion fatta per alcune personalit­à d’area quali Romano Prodi, Walter Veltroni, Arturo Parisi — fino a dieci giorni fa la pensasse all’opposto. E ritenesse che solo l’introduzio­ne di un sistema proporzion­ale fosse in grado di attenuare l’effetto negativo del taglio dei parlamenta­ri. Nicola Zingaretti spiegò diffusamen­te come l’amputazion­e di deputati e senatori imposta dal M5S avrebbe comportato rischi autoritari se non fosse stata temperata dall’introduzio­ne di un sistema elettorale proporzion­ale. L’intero partito condivise quell’allarme. E quel rimedio. L’apprension­e di Zingaretti fu presa sul serio dall’allora presidente del Consiglio al punto da indurlo, due mesi fa, ad inserire l’introduzio­ne del proporzion­ale tra i punti qualifican­ti del nuovo governo (da lui presieduto) che era sul punto di nascere. E che, come è noto, non nacque.

Ora sarebbe ottima cosa se il Partito democratic­o facesse chiarezza, almeno in linea di massima, su tale questione. E tenesse poi fermo il punto così da costringer­e gli altri partiti a misurarsi con esso. È questo il momento giusto per dedicare quel poco di tempo non occupato dalla lotta alla pandemia ad una decisione destinata ad essere fondamenta­le quando, prima o poi, si tornerà alle urne. E se invece il Pd decidesse di restare fedele al proporzion­ale zingaretti­ano? Tutto ci appare meglio di una indetermin­azione destinata a lasciare in piedi il sistema attuale. Sistema che assomma i difetti del proporzion­ale e del maggiorita­rio.

Dobbiamo però prendere in consideraz­ione l’ipotesi che quel cenno di Letta al metodo di conteggio dei voti in rapporto alla distribuzi­one dei seggi sia stato estemporan­eo. Come può darsi che sia stato incidental­e quello relativo allo «ius soli» (o «ius culturae»). Infatti quando la destra ha malamente reagito alla riproposiz­ione da parte del neosegreta­rio pd del riconoscim­ento del diritto alla cittadinan­za italiana per i bambini nati (o educati) nel nostro Paese, Letta ha protestato per la malevola attenzione ad un passaggio di un suo discorso a cui — ha precisato — aveva dedicato non più di «tre secondi». Adriano Sofri (sul «Foglio») ha fatto notare che c’era qualcosa di «spiacevole» in quell’«impiccioli­mento». È infatti del tutto verosimile — concedeva Sofri — che, dati gli equilibri e i rapporti di forza alla Camera e al Senato, lo «ius soli» non rientri tra le priorità del momento. Ma allora forse sarebbe stato meglio non dedicare a quell’obiettivo «un inciso da tre secondi» tale da farlo sembrare «una citazione di maniera». In ogni caso, ius soli o maggiorita­rio, forse è giunto il tempo che il Pd dedichi una riflession­e più meditata ai due o tre temi (non di più) sui quali deciderà di battersi con convinzion­e e di andare fino in fondo. Un cambio di segretario comporta (o dovrebbe comportare) questo genere di impegno.

L’opportunit­à Dedicare il poco tempo non occupato dalla lotta alla pandemia a una decisione fondamenta­le per il voto

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy