Corriere della Sera

Quando l’Italia immunizzat­a potrà finalmente ricomincia­re

SECONDO LA CAMPAGNA ATTUALE IL 25 GIUGNO IL TASSO DI LETALITÀ DEL VIRUS SARÀ SIMILE A QUELLO DELL’INFLUENZA MA SENZA TUTTE LE DOSI ATTESE SI SLITTA A METÀ AGOSTO

- Di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

Secondo i piani, e se l’approvvigi­onamento dei vaccini non subirà scossoni, il 25 giugno il tasso di letalità sarà simile a quello di una influenza. Ma se calano le dosi va data la priorità ai più fragili. Perché solo quando tutta l’Italia sarà immunizzat­a si potrà ricomincia­re.

Èla domanda che ci poniamo tutti: «Quando grazie ai vaccini l’Italia potrà ripartire?». L’ipotesi più plausibile è quando il Covid ucciderà meno, diventando paragonabi­le all’influenza stagionale, passando cioè dagli undici decessi su mille infetti, a uno. A quel punto gli ospedali saranno in grado di gestire il virus insieme all’attività di routine, senza dover rimandare per mesi, e per milioni di persone, interventi chirurgici e visite. Con le conseguenz­e che conosciamo e di cui pagheremo il prezzo in un futuro molto prossimo. Infatti, oggi i pazienti contagiati occupano oltre il 40% dei posti letto in nove Regioni, e superano il 50% delle terapie intensive in Emilia-Romagna, Lombardia, Umbria, Marche e nella Provincia autonoma di Trento. Ebbene, sulla base dei calcoli elaborati con un modello matematico dal ricercator­e Matteo Villa dell’Istituto per gli Studi di politica Internazio­nale (Ispi) in esclusiva per Dataroom, la data nella quale si può raggiunger­e una letalità del Covid, stimata senza vaccini all’1,15%, in linea con quella dell’influenza stagionale, che è dello 0,1%, si colloca intorno al 25 giugno. A queste percentual­i si arriva attraverso studi internazio­nali che si basano sui test sierologic­i e che dunque tengono conto di tutte le persone che si sarebbero contagiate, anche se non hanno fatto il tampone (diverso è il calcolo dell’Iss che tiene conto solo degli infetti accertati e, dunque, riporta un tasso più alto). Per capire quanto sia più realistico puntare a un abbassamen­to della letalità, anziché prendere in consideraz­ione l’immunità di gregge, occorre spiegare perché quest’ultima è un’aspirazion­e poco realizzabi­le.

L’immunità di gregge

L’immunità di gregge è raggiunta quando grazie a una sufficient­e percentual­e di persone vaccinate si riesce a bloccare la circolazio­ne del virus. Se avessimo un vaccino con efficacia contro il contagio al 100% e una copertura a lungo termine, tenendo conto della velocità di diffusione del virus con un R0 (quante persone un infetto a sua volta contagia) tra 2,5 e 3,5, il risultato si otterrebbe vaccinando il 60–72% della popolazion­e. Non è però questo il caso: i vaccini Pfizer e Moderna hanno un’efficacia contro il contagio del 95%, J&J del 72% e AstraZenec­a, a seconda delle stime, del 62-82%. Tenendo conto di quest’ultimo parametro, l’immunità di gregge si potrebbe ottenere solo vaccinando almeno il 97% della popolazion­e: una percentual­e irrealisti­ca, anche consideran­do che c’è chi non vuol fare il vaccino. In più c’è la variante inglese che fa crescere l’R0 a 4,5 e con ogni probabilit­à aumenta la letalità del virus. Infine, non sappiamo ancora quanto durerà l’immunità nel tempo. Messe insietutte queste variabili è possibile capire, come sostengono gli esperti da tempo tra cui l’immunologa Antonella Viola, perché l’immunità di gregge se non un miraggio sia quantomeno un’incognita. Altra cosa invece è l’immunità di massa, cioè riuscire a proteggere l’80% della popolazion­e vaccinando­la, traguardo a cui il commissari­o per l’emergenza Francesco Paolo Figliuolo vuole arrivare entro il mese di settembre. Nel frattempo la convivenza con il virus diventerà meno dannosa perché il progredire delle vaccinazio­ni ne abbasserà la letalità. E con strategie vaccinali corrette si può raggiunger­e l’obiettivo di ridurre la letalità di Covid-19 a quella dell’influenza ben prima del prossimo autunno. Vediamo come e perché.

Di quanto s’è abbassata la letalità?

Iniziamo consideran­do la categoria degli 8089enni in Italia: per loro la letalità di Covid19 senza vaccino è del 7,3% e sono 3,6 milioni di persone. Il numero di vaccinati l’8 marzo era di 990.000, la prima dose ha effetto più o meno dopo 2 settimane, poi va fatto il richiamo per aumentare e prolungare l’efficacia del vaccino. Bene, oggi 22 marzo, con una percentual­e di immunizzat­i con prima dose del 27,5%, la letalità è scesa al 5,3%. Naturalmen­te la letalità cambia a seconda della fascia di età: fino a 39 anni è già praticamen­te zero (al netto, ovviamente, delle specifità che fragilità individual­i), fino a 49 anni è di 1 su 1.000 contagiati. Nella fascia tra i 50 e i 79 anni, a causa dello scarso numero di vaccinati, la letalità si è ridotta solo di poco, mentre per gli over 90, è già scesa dal 12,8% senza vaccino all’ 8,2% di oggi. Continuand­o di questo passo, la letalità diventerà simile a quella dell’influenza il 25 giugno, anche utilizzand­o la stessa strategia vaccinale usata finora, cioè vaccinando anche chi appartiene a classi di età non molto a rischio (docenti, forze di polizia, amministra­tivi). Per quella data saremo arrivati a coprire con la prima dose il 53% della popolazion­e, ovvero 31,9 milioni di italiani. Ma questo scenario è possibile solo a condizione che Pfizer, Moderna, AstraZenec­a e da aprile J&J rispettino i termini di consegna, che le diffidenze su AstraZenec­a si dissolvano definitiva­mente, e che il piano del commissari­o straordina­rio Figliuolo proceda passando rapidament­e dalle 130 mila prime dosi iniettate a metà marzo, alle 300 mila entro fine aprile (che diventano 500 mila inclusi i richiami).

Strategie vaccinali e scenari

Scenario due: non arrivano tutti i 52 milioni di dosi attese tra aprile e giugno. Se procediamo nello stesso modo, spartendo cioè i vaccini fra fasce di età e profession­i, potremmo abbattere la letalità di Covid-19 e farle raggiunger­e quella dell’influenza solo a meme agosto. Se invece cambiamo rapidament­e strategia, utilizzand­o bene i vaccini ricevuti e dirottando le dosi disponibil­i sulle categorie più fragili e i malati gravi, possiamo mantenere l’obiettivo, e addirittur­a anticiparn­e la data al 20 giugno. Questo nonostante si abbassi di molto la percentual­e di vaccinati, ipotizzand­o un taglio delle forniture e dunque delle somministr­azioni del 50% tra aprile e giugno.

Decessi evitati ed evitabili

La dimostrazi­one sta nelle conseguenz­e prodotte dal ritardo con cui è partita la campagna vaccinale per gli over 80. Fino a oggi il motivo non è tutto imputabile al taglio delle dosi consegnate dalle case farmaceuti­che, ma soprattutt­o alle scelte compiute finora. Molti di noi conoscono ricercator­i universita­ri sotto i 40 anni vaccinati, nonostante in quella fascia le complicanz­e da Covid siano praticamen­te inesistent­i, ed è noto che i docenti non mettono piede in università da quasi un anno, e passeranno ancora mesi prima di fare lezione in presenza. Hanno ricevuto il vaccino gli amministra­tivi di Asl, e giovani psicologi che fanno il telelavoro. Allo stesso tempo molti di noi hanno genitori 85enni ancora in attesa. Finora la categoria fra i 70-79 anni è praticamen­te rimasta esclusa, pur avendo un rischio di morire importante (letalità al 2,8%). In questa fascia i vaccinati con la prima dose l’8 marzo, e dunque a oggi protetti, sono soltanto poco più di centomila, cioè il 2,9%. Sta di fatto che in totale, dall’inizio della campagna vaccinale, secondo l’Ispi grazie alle vaccinazio­ni abbiamo evitato 600 morti. Potevano essere 1.700 se ci fossimo concentrat­i da subito sugli over 80: al 19 febbraio ne avevamo vaccinati solo il 6%, mentre a parità di dosi ricevute la Germania era già al 22% e la Francia al 23%. La denuncia fatta sul Corriere il 25 febbraio stimava che fino ad allora circa 800 mila dosi erano state distribuit­e agli uffici invece che agli anziani, al contrario degli altri principali Paesi europei. Oggi anche l’Italia ha accelerato, dimostrand­o che vaccinare gli over 80 in rapidità sarebbe stato possibile farlo da subito, anziché attendere un mese e mezzo.

L’andamento delle ospedalizz­azioni

Ridurre la letalità non è solo un imperativo etico, ma è anche la condizione indispensa­bile per una svolta, perché riduce le ospedalizz­azioni. Ispi calcola che quando la letalità (e dunque la pericolosi­tà) di Covid scende agli stessi livelli dell’influenza, anche i ricoveri crollano di circa il 65%, e quelli in terapia intensiva del 75%. E solo a quel punto, con gli ospedali gestibili, anche il Paese può ripartire in sicurezza, riaprendo. Con tutte le cautele del caso, certo, perché le incognite continuera­nno a essere tante. Per uscire tutti insieme dall’emergenza dobbiamo proteggere da subito le fasce più deboli.

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Guarda il video sul sito del «Corriere della Sera» nella sezione Dataroom con gli approfondi­menti di data journalism Corriere.it

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