Sfida di Letta: eleggiamo due donne capogruppo
Malumori tra gli ex renziani, tentati dalla conta per Marcucci. Il leader e la stabilità: strada non facile
Il neosegretario del Pd Enrico Letta va avanti spedito. E lancia una nuova sfida all’interno del partito. «Quando sono arrivato ho detto che c’è un problema enorme di presenza femminile: tre ministri sono uomini, io sono un uomo. Penso che per forza di cose due capogruppo debbano essere donne». Perché avere ai vertici solo maschi è «roba da Orbán». Una piccola bomba lanciata nello stagno delle correnti. Nella chat degli ex renziani di Base riformista i toni sono aspri: «Questo è uno schiaffo all’autonomia». E ora non si esclude di arrivare alla conta.
Con un’intervista al quotidiano Il Tirreno, il neo segretario del Pd Enrico Letta mette nero su bianco quel che si pensava e cioè che fa sul serio anche sui capigruppo di Camera e Senato — dopo la nomina dei vice e della segreteria — e chiede discontinuità. Un affondo seguito dall’intervista doppia a Mezz’ora in più su Rai3 dei vice Giuseppe Provenzano e Irene Tinagli, che seguono la linea del segretario.
Letta è netto: «Quando sono arrivato ho detto che c’è un problema enorme di presenza femminile, tre ministri sono uomini, io sono un uomo. Penso che due capigruppo debbano essere due donne». E ancora: «Non possiamo fare una foto di gruppo del vertice del partito e presentare volti di soli maschi. In Europa sono cose che può fare Viktor Orbán in Ungheria o Mateusz Morawiecki in Polonia». Non è — dice, addolcendo la pillola — «una bocciatura per Graziano Delrio e Andrea Marcucci: sono tra le figure di maggior rilievo, hanno lavorato benissimo e potranno tornare utilissimi in altri ruoli». Una piccola bomba lanciata nello stagno delle correnti. Nella chat degli ex renziani di Base riformista, i toni sono aspri: «Questo è uno schiaffo alla nostra autonomia»; «a Letta gli mandiamo un vocale di dieci minuti». Salvatore Margiotta ironizza: «Mi sfugge il nome della donna del Pd eletta capogruppo al Parlamento europeo al posto di Benifei». Lì, però, si fa sapere, c’è equilibrio, perché Simona Bonafè è vice del gruppo Sd dei progressisti.
Letta aveva chiamato entrambi sabato sera: «Vi chiedo di fare un passo indietro e di dare un segnale di novità.
Quando sono arrivato ho detto che c’è un problema enorme di presenza femminile: tre ministri sono uomini e io sono un uomo
Non è una bocciatura per Delrio e Marcucci: sono tra le figure di maggior rilievo, hanno lavorato benissimo e potranno tornare utilissimi in altri ruoli
Delrio cede: condivido la necessità che il Pd sia all’avanguardia sulla parità di genere
Per metà legislatura ci sono stati uomini, ora servono donne. Scegliete voi chi». Ma Marcucci non si aspettava l’intervista e ora sta valutando se andare alla conta del voto segreto. Delrio, invece, cede subito, pur ribadendo l’autonomia dei gruppi: «Condivido le parole di Letta sulla necessità che il Pd sia all’avanguardia nella parità di genere». Al suo posto si fanno i nomi di Debora Serracchiani, Marianna Madia, Alessia Rotta e Anna Ascani. Se invece Marcucci dovesse cedere, le tre candidate sono Valeria Fedeli, Roberta Pinotti e Caterina Bini.
Tiene la barra dritta, il segretario: «Tutti mi hanno votato nel presupposto del superamento dei codici basati sulle correnti». Ma la radicalità è anche nelle posizioni dure contro Matteo Salvini: «È la Lega che deve spiegare il suo appoggio a Draghi. Ha cambiato posizione sull’Europa, con una riunione tra Salvini e Giorgetti in un bar, davanti a un caffè. La Lega oggi è una caricatura della politica. In un altro bar, davanti a un caffè, tra qualche mese potrebbe tornare il Salvini di prima». Che abbia poca fiducia nella stabilità della situazione politica, lo dice anche in un’altra intervista, al quotidiano di Barcellona La Vanguardia: «Francamente, non vedo un quarto governo con una quarta maggioranza diversa. In qualità di forza responsabile faremo di tutto per evitare le elezioni. Ma non sarà una strada facile». Nella campagna elettorale, servirà un’alleanza con il Movimento 5 Stelle. Quanto a Italia viva di Renzi, «dipende da loro: sono disposto a dialogare con tutti», dice, ben sapendo che i renziani sono fortemente ostili a un’alleanza con M5S.
Provenzano in tv spiega così i motivi della sua scelta: «Sono amico della mamma di Letta, che lavorava nell’università dove studiavo. Quando si stava decidendo il cambio mi ha detto: dobbiamo dare una mano a Enrico».
Per la Tinagli, la sua nomina è «un segnale di apertura all’Europa». Poi dice: «Negli ultimi due anni il Pd è rimasto vittima di se stesso, in una dinamica molto romana che porta a guardarsi l’ombelico». Parole che non piacciono a Enzo Foschi, vice segretario del Pd laziale: «Tinagli è parlamentare europea grazie al fatto che abbiamo vinto le elezioni con una lista aperta e che lei apprezzava tantissimo. Smettiamola di farci del male». Duro anche Stefano Vaccari: «Cara Irene Tinagli, prima di parlare alza il telefono e informati su ciò che è stato fatto in questi due anni». Quanto a chi polemizza per il rientro di esponenti di Iv, ricordando le parole contro il trasformismo di Letta, dal Nazareno si specifica che il via libera ci sarà solo per gli ex renziani, visto che sono stati eletti tra i dem.