Corriere della Sera

Sfida di Letta: eleggiamo due donne capogruppo

Malumori tra gli ex renziani, tentati dalla conta per Marcucci. Il leader e la stabilità: strada non facile

- di Alessandro Trocino Falci, Pica

Il neosegreta­rio del Pd Enrico Letta va avanti spedito. E lancia una nuova sfida all’interno del partito. «Quando sono arrivato ho detto che c’è un problema enorme di presenza femminile: tre ministri sono uomini, io sono un uomo. Penso che per forza di cose due capogruppo debbano essere donne». Perché avere ai vertici solo maschi è «roba da Orbán». Una piccola bomba lanciata nello stagno delle correnti. Nella chat degli ex renziani di Base riformista i toni sono aspri: «Questo è uno schiaffo all’autonomia». E ora non si esclude di arrivare alla conta.

Con un’intervista al quotidiano Il Tirreno, il neo segretario del Pd Enrico Letta mette nero su bianco quel che si pensava e cioè che fa sul serio anche sui capigruppo di Camera e Senato — dopo la nomina dei vice e della segreteria — e chiede discontinu­ità. Un affondo seguito dall’intervista doppia a Mezz’ora in più su Rai3 dei vice Giuseppe Provenzano e Irene Tinagli, che seguono la linea del segretario.

Letta è netto: «Quando sono arrivato ho detto che c’è un problema enorme di presenza femminile, tre ministri sono uomini, io sono un uomo. Penso che due capigruppo debbano essere due donne». E ancora: «Non possiamo fare una foto di gruppo del vertice del partito e presentare volti di soli maschi. In Europa sono cose che può fare Viktor Orbán in Ungheria o Mateusz Morawiecki in Polonia». Non è — dice, addolcendo la pillola — «una bocciatura per Graziano Delrio e Andrea Marcucci: sono tra le figure di maggior rilievo, hanno lavorato benissimo e potranno tornare utilissimi in altri ruoli». Una piccola bomba lanciata nello stagno delle correnti. Nella chat degli ex renziani di Base riformista, i toni sono aspri: «Questo è uno schiaffo alla nostra autonomia»; «a Letta gli mandiamo un vocale di dieci minuti». Salvatore Margiotta ironizza: «Mi sfugge il nome della donna del Pd eletta capogruppo al Parlamento europeo al posto di Benifei». Lì, però, si fa sapere, c’è equilibrio, perché Simona Bonafè è vice del gruppo Sd dei progressis­ti.

Letta aveva chiamato entrambi sabato sera: «Vi chiedo di fare un passo indietro e di dare un segnale di novità.

Quando sono arrivato ho detto che c’è un problema enorme di presenza femminile: tre ministri sono uomini e io sono un uomo

Non è una bocciatura per Delrio e Marcucci: sono tra le figure di maggior rilievo, hanno lavorato benissimo e potranno tornare utilissimi in altri ruoli

Delrio cede: condivido la necessità che il Pd sia all’avanguardi­a sulla parità di genere

Per metà legislatur­a ci sono stati uomini, ora servono donne. Scegliete voi chi». Ma Marcucci non si aspettava l’intervista e ora sta valutando se andare alla conta del voto segreto. Delrio, invece, cede subito, pur ribadendo l’autonomia dei gruppi: «Condivido le parole di Letta sulla necessità che il Pd sia all’avanguardi­a nella parità di genere». Al suo posto si fanno i nomi di Debora Serracchia­ni, Marianna Madia, Alessia Rotta e Anna Ascani. Se invece Marcucci dovesse cedere, le tre candidate sono Valeria Fedeli, Roberta Pinotti e Caterina Bini.

Tiene la barra dritta, il segretario: «Tutti mi hanno votato nel presuppost­o del superament­o dei codici basati sulle correnti». Ma la radicalità è anche nelle posizioni dure contro Matteo Salvini: «È la Lega che deve spiegare il suo appoggio a Draghi. Ha cambiato posizione sull’Europa, con una riunione tra Salvini e Giorgetti in un bar, davanti a un caffè. La Lega oggi è una caricatura della politica. In un altro bar, davanti a un caffè, tra qualche mese potrebbe tornare il Salvini di prima». Che abbia poca fiducia nella stabilità della situazione politica, lo dice anche in un’altra intervista, al quotidiano di Barcellona La Vanguardia: «Francament­e, non vedo un quarto governo con una quarta maggioranz­a diversa. In qualità di forza responsabi­le faremo di tutto per evitare le elezioni. Ma non sarà una strada facile». Nella campagna elettorale, servirà un’alleanza con il Movimento 5 Stelle. Quanto a Italia viva di Renzi, «dipende da loro: sono disposto a dialogare con tutti», dice, ben sapendo che i renziani sono fortemente ostili a un’alleanza con M5S.

Provenzano in tv spiega così i motivi della sua scelta: «Sono amico della mamma di Letta, che lavorava nell’università dove studiavo. Quando si stava decidendo il cambio mi ha detto: dobbiamo dare una mano a Enrico».

Per la Tinagli, la sua nomina è «un segnale di apertura all’Europa». Poi dice: «Negli ultimi due anni il Pd è rimasto vittima di se stesso, in una dinamica molto romana che porta a guardarsi l’ombelico». Parole che non piacciono a Enzo Foschi, vice segretario del Pd laziale: «Tinagli è parlamenta­re europea grazie al fatto che abbiamo vinto le elezioni con una lista aperta e che lei apprezzava tantissimo. Smettiamol­a di farci del male». Duro anche Stefano Vaccari: «Cara Irene Tinagli, prima di parlare alza il telefono e informati su ciò che è stato fatto in questi due anni». Quanto a chi polemizza per il rientro di esponenti di Iv, ricordando le parole contro il trasformis­mo di Letta, dal Nazareno si specifica che il via libera ci sarà solo per gli ex renziani, visto che sono stati eletti tra i dem.

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Al vertice Enrico Letta, 54 anni, è stato eletto segretario del Pd il 14 marzo scorso

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