«La fusione più grave è dei ghiacci dell’Asia Ora serve un patto diplomazia-scienza»
Il diplomatico Grammenos Mastrojeni, vicesegretario generale dell’Unione per il Mediterraneo, da molti anni studia l’impatto del clima sulla geopolitica mondiale e non ha dubbi: «L’acqua non è un bene raro, come il petrolio. A causa del cambiamento climatico, però, la distribuzione è diventata sempre più ineguale. E questo, inevitabilmente, crea conflitto».
Quali sono le aree più a rischio?
«Tutte quelle in cui la società o l’economia non sono sufficientemente forti da reggere degli shock distribuiti su tutto il globo. Secondo tre diverse dinamiche: la scarsità d’acqua, la sovrabbondanza e i casi in cui le quantità sono invariate ma i ritmi sono alterati, che è il caso più complesso. La desertificazione del Sahel, causa di conflitti e movimenti forzati di popolazione, non avviene ad esempio per scarsità d’acqua ma perché la stessa quantità cade in un periodo più breve: siccome il terreno è argilloso e ha soltanto un sottile strato superficiale fertile, l’acqua che cade violentemente lava via i nutrienti e lascia scoperto un terreno praticamente sterile».
Altri esempi?
«La più grande minaccia è la fusione ormai probabile dei ghiacciai di Himalaya, Pamir e Hindu Kush. A nord c’è già una gigantesca crisi idrica, che si manifesta con il restringimento di tredici volte del lago d’Aral, e dal fatto che le due grandi vene idriche della regione — Syr Darya e Amu Darya — sono al lumicino, non solo per i cambiamenti climatici ma anche per usi impropri. A sud c’è invece un clima monsonico sempre più violento. Oggi i ghiacciai trattengono l’eccesso di umidità della stagione piovosa e la rilasciano gradualmente durante quella secca, attraverso un reticolo di fiumi che irriga le piane dove vivono un miliardo e 400 milioni di persone. Quando i ghiacciai collasseranno, verrà meno questa loro fondamentale funzione di regolatori del deflusso dell’acqua. Ed è bene ricordare che in quella regione quattro Stati hanno le bombe atomiche. La minaccia è palpabile»
Tutto colpa della crisi climatica?
«Esistono anche conflitti più tradizionali; già all’epoca di Esopo era chiaro il potenziale di conflitto fra chi sta a monte e chi a valle di un corso d’acqua. Ma le nuove minacce sono tutte collegate al cambiamento climatico. Prendiamo il lago Chad, che si è ristretto di diciotto volte: la conseguenza più grave non è la mancanza d’acqua ma la rottura di un ecosistema. Grazie alla prevedibilità del clima, un tempo gli agricoltori lasciavano entrare i pastori nei campi in alcuni periodi dell’anno, perché le bestie fertilizzavano i terreni. Ora è tutto molto più imprevedibile e foriero di tensioni».
Nel Mediterraneo?
«Nell’arco di 10-15 anni, se non corriamo ai ripari, circa 250 milioni di persone vivranno in condizioni di scarsità idrica. Il mare, in tempi molto brevi, si alzerà di circa 20 cm, sufficienti per salinizzare il Delta del Nilo da cui dipende l’agricoltura di un Paese con quasi 100 milioni di abitanti».
A proposito di Egitto, cosa pensa delle tensioni per la mega-diga dell’Etiopia?
«Mi auguro che tutti capiscano che l’acqua condivisa genera più vantaggi dell’acqua contesa. Il rischio è esacerbato dal fatto che l’acqua è diventata una risorsa aleatoria».
La Cina intanto è accusata di land e water grabbing, di accaparrarsi risorse naturali fondamentali...
«Le piane dell’Asia centrale registrano un riscaldamento più rapido che altrove e ciò ha spinto la Cina ad affacciarsi sul mercato cerealicolo, a trattenere l’acqua sulle porzioni più settentrionali dei grandi fiumi che scorrono verso il Sud-est asiatico ma anche a comprare nel mondo, dove è possibile, grandi distese fertili. Non dimentichiamo però che, ad oggi, il più grande “land grabber” è l’Europa, attraverso attori perlopiù privati».
La diplomazia di oggi è adeguata a questo tipo di sfide?
«Da 250 anni il clima non è più nell’agenda dei governi. La politica deve riconoscere che la natura è un elemento determinante per tutta una serie di interessi. E la diplomazia deve integrarsi sempre di più con la scienza per trovare la soluzione ai conflitti».