IL VIRUS A PARIGI DA «TUTTI A CASA» A «TUTTI FUORI»
Strano lockdown, quello in cui si è invitati a stare fuori piuttosto che in casa. Ma questa è da due giorni la situazione in sedici dipartimenti francesi, compresa Parigi: dalle sei del mattino alle 19 (quando comincia il coprifuoco), si può uscire di casa e restare fuori senza limite di tempo, entro un raggio di 10 km dal domicilio. Anzi, il ministro della Sanità incoraggia i cittadini a prendere aria perché «è in casa che ci si contagia di più». Finito lo slogan #RestezChezVous (restate a casa) mille volte ripetuto un anno fa, il presidente Macron sperimenta ora il confinamento all’aria aperta. Oppure il «confinamento Potëmkin», come lo chiama Le Figaro, alludendo alla geniale idea del ministro russo che per nascondere la povertà della Crimea all’imperatrice Caterina II fece costruire ridenti villaggi di cartapesta. Dopo quelli di marzo e novembre 2020, questo è il terzo lockdown, quello che non osa dire il suo nome: all’ultimo momento, pochi minuti prima di andare in onda giovedì scorso per annunciare il confinamento, il primo ministro Jean Castex ha ricevuto da Macron l’ordine di non dire più «confinement». Solo che ormai la parola proibita appariva nelle infografiche di accompagnamento, trasmesse in tv accanto al premier che invece improvvisava formule come «nuove misure di contenimento». In fondo anche questo è macronismo, quell’ambizione di essere di destra e di sinistra, di provare sempre a tenere insieme A e «en même temps» (allo stesso tempo) anche B. È un confinamento, sia pure Potëmkin, per rispondere alle suppliche di epidemiologi e medici che da settimane predicono una catastrofe negli ospedali; e allo stesso tempo non è un confinamento, per evitare la rivolta dei francesi. Tanto, come ha ammesso ieri il portavoce del governo Gabriel Attal, «la chiave non è il confinamento, ma la vaccinazione». Che in compenso, per adesso, è lenta e insufficiente.