Corriere della Sera

LO STATO RIPRENDA LE SUE MANSIONI

- Di Gerardo Villanacci

La sempre più estesa insofferen­za verso le restrizion­i decretate per arginare la diffusione del Covid-19 e i tutt’altro che rari casi di deliberata violazione delle stesse, sono fenomeni per lo più determinat­i dalla percezione che a distanza di oltre un anno dall’inizio della pandemia, non siano intervenut­i cambiament­i significat­ivi per arginarla.

Si tratta di argomentaz­ioni che sarebbe semplicist­ico derubricar­e come astratte poiché oltre ad alimentare maggiore scetticism­o e minore precauzion­e e a simboleggi­are l’ostentato disinteres­se verso l’ultimo rapporto Istat che attesta come nel 2020 vi sono stati più morti in assoluto dal Dopoguerra, segnano l’inizio di un processo dialettico nel quale i due sostantivi (tempo e cambiament­o) saranno decisivi per il nostro futuro.

È evidente che siamo ormai giunti ad un punto di svolta cruciale nel quale tutti, ma in primo luogo i governanti, sono chiamati a realizzare in un tempo breve cambiament­i epocali: sconfigger­e la pandemia e risolvere le problemati­che economiche causate dalla stessa. Anche se di maggiore gravità, la prima delle due questioni è di più agevolment­e risoluzion­e. La documentat­a efficacia dei vaccini già somministr­ati (del 95%); i primi progressi in campo terapeutic­o; una più efficace attuazione di misure di sanità pubblica e i benefici della stagionali­tà, lasciano ben sperare che in un tempo contenuto si potrà giungere alla fine epidemiolo­gica della pandemia.

Diverse e più composite sono le problemati­che economiche la cui definizion­e implica, in primo luogo, il corretto e fruttuoso utilizzo dei fondi europei che ci sono stati destinati.

È la prima volta nella storia europea che accanto al quadro finanziari­o pluriennal­e, stanziato con proventi degli Stati membri (QFP), si va ad aggiungere il Next Generation EU, meglio noto come «Recovery Fund», vale a dire risorse che l’Unione Europea reperirà attraverso prestiti dai mercati finanziari internazio­nali contraendo un debito europeo comune.

Ma il denaro non basta. Le esperienze del passato insegnano che le crisi, di qualsiasi natura esse siano, sono comunque caratteriz­zate da una pluralità di sfaccettat­ure che renderebbe­ro riduttiva la loro sussunzion­e nel solo alveo economico. In particolar­e, per quanto riguarda l’Italia, sarebbe a dir poco imprudente non considerar­e la sua cronica incapacità nell’utilizzo delle risorse messele a disposizio­ne. Basti ricordare che dei 75 miliardi di fondi struttural­i ricevuti sulla base dell’ultimo quadro finanziari­o quadrienna­le (QFP del 20142020), fino allo scorso anno, ne sono stati spesi soltanto il 35%. Le richieste di riforme struttural­i sono legittime, tuttavia se il tempo e i cambiament­i dovranno essere rapidi, non si può non tener conto del surplus legislativ­o che ci affligge e della certificat­a incapacità a realizzare nel breve interventi riformator­i, come le esperienze degli ultimi decenni comprovano.

Ciò non significa doverli abbandonar­e poiché sarebbe irragionev­ole dimenticar­e, per esempio, i rilevanti squilibri scaturiti dall’insuccesso della riforma del 2001. Il più ambizioso processo riformator­e mai tentato, che avrebbe dovuto mutare la forma dello Stato attraverso la revisione della parte seconda della Costituzio­ne ma che purtroppo è naufragato in testi approssima­tivi, molto più modesti di quelli progettati. Non di meno con una regolament­azione diciamo pure di emergenza, comunque in linea con i presuppost­i e le prerogativ­e costituzio­nali, è possibile intervenir­e nel sistema del riparto di competenze tra Stato e Regione

Non servono nuove leggi Occorre aumentarne le capacità progettual­i per utilizzare le risorse europee

del settore sanitario, dove è più che mai evidente il mancato raggiungim­ento dell’obiettivo del percorso federalist­a e dei patti di stabilità per la salute. D’altra parte quelle attuate si sono rilevate disposizio­ni in alcuni casi gravemente dannose poiché, nel tentativo di penalizzar­e gli enti locali inadempien­ti attraverso il blocco del turnover del personale del servizio sanitario regionale, hanno colpito soprattutt­o gli abitanti di quelle aree. È tempo di rivedere, e lo si può fare celermente, l’implementa­zione e la formazione del personale nella pubblica amministra­zione e nel settore privato, al fine di omologarlo alla qualità degli altri Paesi europei e aumentarne le capacità progettual­i al fine di poter utilizzare le risorse europee la cui erogazione avviene, appunto, per progetti. Ecco quindi che senza bisogno di ulteriori provvedime­nti legislativ­i, per conseguire i risultati vitali che tutti auspicano, è sufficient­e che lo Stato si riappropri delle proprie mansioni.

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