Amore e scienza ci salveranno insieme
Ci salveranno l’amore e la scienza, ha detto qualche giorno fa al Corriere Piero Angela. Quale scienza e quale amore, però? Di sicuro la scienza che ha tenuto in vita per quasi un anno e mezzo Hicham Sabir al Regina Margherita di Torino con un cuore artificiale, il Berlin Heart, quello dei bambini. Hicham oggi ha otto anni, è nato in Marocco, e frequentando la scuola elementare in ospedale ha imparato una parola per lui fondamentale: grazie. Ed è per certo amore quello dei genitori del donatore, immaginiamo giovanissimo per compatibilità dell’organo, che anziché precipitare nell’abisso della loro perdita hanno dato l’assenso affinché il piccolo cuore potesse continuare a battere per uno sconosciuto. È ancora la scienza che ha permesso all’attaccante della Juventus Lina Hurting di creare una famiglia e diventare madre: sua moglie Lisa, pure lei calciatrice, è rimasta incinta per mezzo della fecondazione eterologa in una clinica svedese, nella patria di entrambe. Decisamente è l’amore che le ha spinte sul sentiero di uno dei verbi più generosi e impervi: costruire. Ma fin dove può arrivare la scienza? E in cosa ci aiuterà l’amore? Sempre di questi giorni è la notizia dell’esperimento dei gruppi di ricercatori di due università, una americana e una australiana, che partendo da cellule umane hanno creato in laboratorio un blastoide, parente stretto per struttura cellulare di un embrione allo stadio della blastocisti, appunto. Servirà a capire perché si interrompono le gravidanze e cosa causa la malformazione di un feto. Qui, per competenza, non possiamo che fidarci del commento rilasciato all’Ansa da Carlo Alberto Redi, presidente del Comitato etico della Fondazione Veronesi: «Non sono dei veri embrioni umani: anche se venissero impiantati in una pseudo-madre non andrebbero avanti nello sviluppo. Non devono essere trascinati nell’annoso dibattito sul limite dei 14 giorni per la ricerca sugli embrioni umani: un organoide non solleva le stesse questioni etiche». Sarà l’amore per il genere umano, allora, a porre un argine alla scienza ed evitare che nessun Frederick Frankenstein possa mai gridare, un giorno, «si — può — fare!» (a parte Max Gazzè, ma quello era Sanremo). Così, forse, amore e scienza ci salveranno insieme.