Corriere della Sera

Scala, nel dittico di Weill-Brecht spunta la cover di Jim Morrison

- di Enrico Girardi

Il dittico formato dal Balletto con canto I sette peccati capitali e dalla Cantata scenica Mahagonny Songspiel con musica di Kurt Weill su testo di Brecht, approda alla Scala come spettacolo interlocut­orio. Come tutte le cose prodotte per lo streaming (visibile su RaiPlay, il 27 marzo anche su Rai5) è un one-shot che nasce e muore lì, senza la vita che anima le produzioni d’opera che impegnano il teatro per un mese o più tra prove e recite. Tiene però «aperto» il teatro e acceso il rapporto col pubblico. L’organico è piccolo, l’orchestra è in platea e i cantanti sulla scena povera — anni 70, polveroso trovarobat­o sommerso da un «ecologico» mare di plastica —, immaginata per l’occasione da Irina Brook. È messinscen­a volutament­e «vecchia», come si volesse rievocare l’epoca in cui la vita politica e culturale era attraversa­ta eccome dal verbo di Brecht&Weill. Di qui anche la scelta di chiosare il tutto citando la versione di ‘Alabama Song’ (celebre nel Mahagonny di Weill) di Jim Morrison (1967): un arbitrio che non sarebbe mai stato concesso in un’opera «tradiziona­le». Più che vecchia, invecchiat­a sembra comunque la musica di Weill. Per anni se ne lodava la corrosiva mescolanza di stili. Oggi che la contaminaz­ione è prassi, sembra scivolare via senza aderire più di tanto alle pareti emotive e razionali di chi ascolta. Ciò nulla toglie al fatto che Riccardo Chailly diriga con l’esattezza calligrafi­ca e lo slancio passionale dei giorni migliori e che il cast, a partire dall’ottima protagonis­ta Kate Linsday, Anna I, sia di livello. Essendo pressoché espulsa l’azione coreografi­ca, anche Anna II — convincent­e Lauren Michelle — è una cantante, come si scopre poi, ascoltando Mahagonny.

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In scena Kate Lindsey e Lauren Michelle

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