Scala, nel dittico di Weill-Brecht spunta la cover di Jim Morrison
Il dittico formato dal Balletto con canto I sette peccati capitali e dalla Cantata scenica Mahagonny Songspiel con musica di Kurt Weill su testo di Brecht, approda alla Scala come spettacolo interlocutorio. Come tutte le cose prodotte per lo streaming (visibile su RaiPlay, il 27 marzo anche su Rai5) è un one-shot che nasce e muore lì, senza la vita che anima le produzioni d’opera che impegnano il teatro per un mese o più tra prove e recite. Tiene però «aperto» il teatro e acceso il rapporto col pubblico. L’organico è piccolo, l’orchestra è in platea e i cantanti sulla scena povera — anni 70, polveroso trovarobato sommerso da un «ecologico» mare di plastica —, immaginata per l’occasione da Irina Brook. È messinscena volutamente «vecchia», come si volesse rievocare l’epoca in cui la vita politica e culturale era attraversata eccome dal verbo di Brecht&Weill. Di qui anche la scelta di chiosare il tutto citando la versione di ‘Alabama Song’ (celebre nel Mahagonny di Weill) di Jim Morrison (1967): un arbitrio che non sarebbe mai stato concesso in un’opera «tradizionale». Più che vecchia, invecchiata sembra comunque la musica di Weill. Per anni se ne lodava la corrosiva mescolanza di stili. Oggi che la contaminazione è prassi, sembra scivolare via senza aderire più di tanto alle pareti emotive e razionali di chi ascolta. Ciò nulla toglie al fatto che Riccardo Chailly diriga con l’esattezza calligrafica e lo slancio passionale dei giorni migliori e che il cast, a partire dall’ottima protagonista Kate Linsday, Anna I, sia di livello. Essendo pressoché espulsa l’azione coreografica, anche Anna II — convincente Lauren Michelle — è una cantante, come si scopre poi, ascoltando Mahagonny.