Cinque suore tra gli eccessi «Una sfida con l’aiuto di Dio»
Il reality «Ti spedisco in convento»: è un modo per avvicinarci ai giovani
Basta vedere qualche minuto della prima puntata di Ti spedisco in convento perché già si avverta la necessità di farsi il segno della croce. Non tanto per un improvviso moto di spiritualità, ma più di umana comprensione pensando alla formula alla base del nuovo docu-reality, già disponibile su Discovery+. Cinque ragazze molto eccentriche, molto social e con un ego molto grande; sensibili agli eccessi e, per loro corale ammissione, al vino, divertite dalla trasgressione e allergiche alle regole, vengono reclutate per partecipare a un programma ma non sanno che non finiranno su qualche isola o dentro chissà quale Casa ma in un convento, in particolare quello delle Suore Oblate del Bambino Gesù, a Sorrento.
Lì, ad accoglierle, cinque coraggiosissime religiose: suor Daniela, madre generale della congregazione, la madre superiora suor Monica, suor Felicita, suor Arleide e suor Analia, la più giovane, che ha 28 anni e ama lo skateboard. Il primo impatto, non è semplicissimo: le ragazze entrano in convento tra qualche parolaccia e parecchia titubanza e come per mettere le cose in chiaro, tutte si dichiarano «lontanissime» dalla spiritualità. E c’è anche chi, per spiegarsi meglio, improvvisa un ballo con tanto di twerking finale davanti a due delle suore — dotate di un clamoroso aplomb —, per mostrare loro in cosa consista il suo lavoro in discoteca.
Onestamente, se non ci fossero le suore a garantire, il classico dubbio del «ma tanto è tutto finto», nascerebbe. «Certo è una cosa un po’ fuori dalla norma e ci aspettiamo anche qualche critica — spiegano collegate dal convento, su Zoom —. Ma noi non riusciamo a fingere, è evidente. La tv può essere un mezzo se usato bene, altrimenti lascia il tempo che trova. Noi abbiamo visto questo progetto come una volontà di Dio e lo abbiamo abbracciato con tutto il cuore. È da tanto che pensavamo a un modo per avvicinarci ai giovani e questa ci è sembrata l’occasione giusta».
Le religiose hanno inteso il reality come un programma educativo: «Ci siamo messe in gioco, credendo che Dio era con noi. È stata una sfida ma anche una bella provocazione da parte dei giovani che, in generale, cercano aiuto. Ma se noi non andiamo da loro, loro non vengono da noi e questo reality ci è parso una risposta. Abbiamo visto che la mano di Dio era presente». Nelle parole delle suore, torna spesso il concetto di maternità: «Per noi è stata un’occasione per rilevare che siamo madri. La nostra, nei confronti delle ragazze, è stata una vera maternità spirituale. Le abbiamo amate. Eravamo mamme con il desiderio grande di seminare e di vedere dei cambiamenti positivi nelle ragazze».
Di loro hanno apprezzato la verità, anche nel mostrare le loro ferite. «Sono state quasi tutte sincere e si sono aperte a quello che abbiamo presentato loro. Si sono sentite di fidarsi ed è stata la chiave che ha fatto aprire i loro cuori. Noi non fingevamo, l’hanno capito». L’obiettivo della trasmissione, non è invitare i giovani ad aderire a uno stile di vita monacale, piuttosto «convincerli che spesso non hanno in mano la loro vita, ma sono portati dalla massa. Ognuno di noi ha una verità dentro. Bisogna riscoprire chi siamo veramente».
Altro tema di fondo è il pregiudizio, anche reciproco: l’abbigliamento delle ragazze non è passato inosservato. «Per quello nei nostri confronti, il punto è che non ci conoscono. Ai ragazzini che si comportano male a casa si dice: ti mando in convento. Oggi più che mai, il sacro è battuto dal profano ma poi quando si incontrano si capisce che è molto più potente il sacro». Il loro è stato un impegno non solo verso le cinque ragazze «ma è un abbraccio a tutta la gioventù e ora speriamo che in tanti vedano il programma e possano trovare la loro strada o almeno ricevere un messaggio».
Le porte sono aperte per tutti «ma non a livello televisivo — interviene la madre generale —. Lo abbiamo fatto e non c’è più bisogno di ripetere: aspettiamo tutti i giovani che vorranno venirci a trovare. Ma senza telecamere».
Basta telecamere
«Aspettiamo tutti i ragazzi che vorranno venirci a trovare, ma senza telecamere»