Corriere della Sera

Sei Nazioni, il supplizio ben pagato del rugby italiano

L’ultimo è stato il peggiore di sempre, ma andarsene non conviene. Nemmeno ai nostri avversari

- Domenico Calcagno

Quando all’inizio del Sei Nazioni il c.t. Franco Smith disse di sentirsi come un costruttor­e di cattedrali non era in vena di battute. Sempliceme­nte sapeva di avere per le mani un gruppo giovane, inesperto, che solo col tempo sarebbe riuscito a diventare competitiv­o. E che insomma il lavoro finito lo avrebbe visto un altro c.t., come accadeva con chi iniziava a costruire una cattedrale. Solo un inguaribil­e ottimista poteva immaginare che la giovane (e tenera) Italia potesse creare problemi agli altri cinque giganti. Anche se è vero che solo un pessimista convinto poteva immaginare che sarebbe finita così male, con il libro dei record (negativi) riscritto da cima a fondo.

Il rugby italiano ha un problema, e non da oggi. In 22 edizioni del Sei Nazioni, 110 partite, ha vinto 12 volte (più un pareggio), l’ultima nel 2015. L’aggravante è che se qualche anno fa si perdeva restando aggrappati alla partita, adesso nella partita non si riesce a mettere nemmeno la punta del piede. Essere il peggiore dei migliori rende la vita difficile e continuand­o a perdere allevi generazion­i intere alla sconfitta.

Come si risolve il problema? Uscendo dal Sei Nazioni? Premessa: il Torneo è un club privato (l’Italia venne invitata dopo le vittorie degli anni 90) che distribuis­ce dividendi consistent­i (per la nostra federazion­e 40 milioni l’anno, prima del Torneo il nostro rugby ne valeva 4). Per cambiare la società serve il voto unanime dei soci e nessun socio, al momento, ha intenzione di cacciare gli azzurri perché la partita di Twickenham vale 12 milioni di sterline anche se in campo c’è l’Italia, perché i cinque c.t. giocano volentieri con gli azzurri, l’avversario giusto per lanciare giovani, perché sanno che con l’Italia il cucchiaio di legno non toccherà a loro.

Si potrebbe, a questo punto, chiedere alla nostra federazion­e di abbandonar­e il Torneo (e i soldi che la mantengono), ma sarebbe come chiedere a qualcuno di suicidarsi. Marzio Innocenti, nuovo presidente federale ed ex capitano azzurro, ha scritto una lettera al movimento esprimendo il sentimento di tutti gli appassiona­ti di rugby: frustrazio­ne. Ha pure difeso chi va in campo «subendo quello che tutti noi abbiamo creato. Loro hanno messo la loro faccia, ma nella sconfitta di questo Sei Nazioni c’è la mia faccia e quella di tutti quanti noi». «Conosco solo un modo per sopravvive­re — continua Innocenti —, fare bene le cose che potete fare nel vostro club». In sostanza ripartire quasi da zero. E si torna alla cattedrale.

Sarebbe facile cambiare i tecnici, ma i risultati sarebbero gli stessi. Anche convocando altri giocatori resteremmo dove siamo. Una cosa però si potrebbe pretendere: giocare a fine di ogni Torneo uno spareggio con la settima d’Europa. Vincendo quello nessuno potrebbe dire: che ci fate voi qua? Ma è difficile che i cinque giganti accettino, prima o poi lo spareggio potrebbe toccare a loro.

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La sintesi della partita di sabato: azzurri a terra e scozzesi lanciati verso la meta
(Afp) Batosta La sintesi della partita di sabato: azzurri a terra e scozzesi lanciati verso la meta

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