«Così rilancerò Alpine»
Laurent Rossi, ex Google, per guidare la svolta elettrica
In sottofondo si sente il boato del V6 ibrido della monoposto di Fernando Alonso, Laurent Rossi parla dai box del Bahrein dove domenica 28 marzo si disputerà il primo Gp del Mondiale di F1. Quarantacinque anni, figlio di un meccanico, il manager al quale Luca De Meo ha affidato il rilancio di Alpine è un uomo capace di unire mondi diversissimi: ingegneria, conti e auto zeppe di cavalli. Gli inizi in Renault, la decisione di lasciare per completare gli studi alla Harvard Business School, il passaggio a Google, e il ritorno a Parigi tre anni fa. Fino al nuovo incarico: tornare a far splendere il blu di Francia, come quando trionfava nei rally (1973) o nell’endurance (Le Mans 1978, fra i piloti c’era Didier Pironi).
Dal ritorno, nel 2017, l’Alpine ha raccolto poco rispetto al potenziale, il futuro passa per una profonda trasformazione, vetture elettriche ad alte prestazioni: «Saremo all’avanguardia dell’innovazione preservando le origini. Chi pensa che i motori elettrici non siano compatibili con la sportività si sbaglia: un tempo le macchine si classificavano in base alla velocità massima, ora il nuovo valore di riferimento è la coppia motrice. Abbinati a telai “leggeri” che sono nel nostro dna, usciranno fuori livelli pazzeschi di perfomancrossover ce». Rossi è un manager veloce: entro il 2025 deve triplicare la gamma, ora ancorata a un unico modello, la A110, : «È dietro l’angolo: avremo una “hot hatch” (una due volumi “spinta”, ndr), sarà una rivisitazione in chiave elettrica delle sportive compatte della tradizione Renault. E poi un del segmento C, e infine anche l’erede dell’attuale A110, anche queste due saranno elettriche. Il 2025 è dietro l’angolo: coincide con l’Euro 7 che colpirà duramente i motori tradizionali».
Dietro a questa svolta, c’è il desiderio di recuperare una fetta gloriosa del passato corsaiolo della Renault, fatto di mini-supercar: tipo la Clio Williams o la V6. E c’è l’esigenza di razionalizzare l’offerta per evitare sovrapposizioni all’interno del gruppo mettendo i prodotti più «pepati» sotto il cappello di Alpine. «È esattamente quello lo spirito, quando parlo di “hot hatch” ci guideranno nello sviluppo proprio modelli come la Clio Williams o la R5 turbo». Ovviamente rivisitati in salsa verde, e realizzati su architetture condivise con Nissan.
La nuova A110 invece sarà progettata insieme alla Lotus, la Casa inglese controllata dai cinesi di Geely: «Fra Alpine e Lotus c’è tanto in comune, la cura dei materiali leggeri per esempio».
Mentre parla la lingua della F1 con i tecnici al muretto, Rossi non dimentica la lezione imparata nel periodo in cui ha lavorato per il motore di ricerca più grande del mondo: «Google è un’azienda estremamente agile. È un sistema che genera efficienza e si chiede in ogni secondo: “Ma l’utente che cosa vuole veramente?”. È un approccio molto diverso. Prendiamo l’industria automobilistica: c’era un tempo in cui riusciva a vendere qualsiasi vettura. Semplicemente perché esisteva la domanda di automobili. Ma non è più così: oggi i clienti sono molto più raffinati ed esigenti, se non capisci che cosa vogliono da te perdi il treno».
La seconda lezione riguardava i big data: «In Google hanno capito per primi l’importanza dei dati sulla mobilità, hanno intuito che sarebbero stati rivoluzionari: per quello hanno avviato le mappe, la guida autonoma, i sistemi di connettività. Ed è stato questo vedere le cose sempre in avanti che mi ha spinto a tornare in Renault: volevo mettere in pratica quello che avevo imparato lì, lavorare da dentro al cambiamento. Che alla fine è quello che sostiene il nostro a.d. De Meo: trasformare Renault da car company a tech car company».
Ma per guidare ingegneri e tecnici di F1 devi conoscere anche la lingua della passione: «È dentro di me, papà aveva un’officina in Corsica. Durante la settimana riparava macchine normali, nel fine settimana quelle da rally. Mi sembrava un luna park».