Corriere della Sera

IL RITORNO (UTILE) DEGLI USA

È da verificare la strategia di Biden contro Putin. Comunque noi abbiamo bisogno degli americani in un Mediterran­eo in cui russi e turchi si danno arie da padroni

- di Angelo Panebianco

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dato dell’assassino al capo della Russia Vladimir Putin e la cosa ha fatto, ovviamente, un grande rumore.

In base agli usi vigenti sono due casi in cui si può comprender­e perché chi governa una grande potenza abbia deciso di dare pubblicame­nte dell’assassino a un capo di governo straniero. Può essere, in primo luogo, che questo capo di governo sia il feroce dittatore di un piccolo Paese.

Accusarlo di essere un assassino equivale allora a un avvertimen­to: non darmi ancora fastidio o la pagherai cara. Il secondo caso è quello in cui il capo di governo straniero guidi un’altra grande potenza e chi gli ha dato dell’assassino si appresti a dichiararg­li guerra. Ma se la guerra è esclusa — come, fortunatam­ente, lo è al momento fra Stati Uniti e Russia — allora la scelta di bollare con la parola «assassino» il capo di governo di un’altra grande potenza non è immediatam­ente decifrabil­e (come ha osservato Sergio Romano, Corriere del 19 marzo). Facilmente, infatti, le due potenze si troveranno in futuro impegnate in negoziati su temi di interesse comune.

Può essere che si renda anche necessario qualche incontro fra i due capi di governo: come si può pubblicame­nte stringere la mano a uno al quale, altrettant­o pubblicame­nte, si è dato dell’assassino?

Diventa lecito porsi qualche domanda sia sulle motivazion­i di Biden sia sulla strategia americana in un’epoca caratteriz­zata da due circostanz­e: la ripresa in grande stile della competizio­ne fra le grandi potenze, nonché l’accrescime­nto delle capacità di manovra di molte medie potenze come la Turchia o l’Iran (per restare nel quadrante geopolitic­o che più interessa a noi europei).

Una volta esclusa la gaffe, possiamo riconoscer­e che le motivazion­i di Biden fossero più d’una. Voleva appellarsi alla parte del pubblico americano che crede nella superiorit­à morale degli Stati Uniti. Voleva poi avvertire Putin che, con la sconfitta di Donald Trump, l’epoca delle provocazio­ni russe impunite è finita. Voleva infine chiarire agli europei, Germania in testa, che, d’ora in poi, sarà per loro costoso tenere il piede in due staffe (caso del gasdotto Nord Stream 2 e non solo).

Le si approvi o no, sono comunque motivazion­i comprensib­ili. Ma come si inquadra ciò nella partita di «Risiko» in corso nell’attuale, fortunatam­ente pacifica, competizio­ne geopolitic­a fra le grandi potenze? Con quali carte l’America di Biden partecipa al gioco? C’è un rischio che non può essere taciuto. Come tante volte è accaduto nella storia, la grande potenza un tempo dominante e che si percepisce in declino potrebbe commettere errori su errori nel tentativo di recuperare in fretta la precedente posizione di forza. È lecito chiedersi se dopo le Amministra­zioni di Obama e di Trump, che, in modo diverso, avevano preso atto del declino americano, Biden non rappresent­i l’epoca dell’illusione: una sorta di «estate indiana», una breve fase in cui l’America sembra recuperare il passato ruolo egemonico ma che precede un ulteriore, definitivo, indebolime­nto di potenza, al tempo stesso drastico e rapido. Lo può pensare chi ritiene che gli Stati Uniti non abbiano più la forza per contrastar­e due grandi potenze (Cina e Russia) contempora­neamente. Senza considerar­e che scegliendo la strada del containmen­t, del contenimen­to, nei confronti di entrambe, si corre il rischio di spingerle l’una nelle braccia dell’altra, favorendo la formazione di una forte alleanza antiameric­ana e antioccide­ntale.

Ma, volendo essere ottimisti, immaginiam­o invece che la strategia americana sia lucida, che la nuova Amministra­zione stia facendo un calcolo realistico delle proprie forze e di quelle delle altre potenze. E che scommetta giusto pensando che Russia e Cina non possano facilmente dare vita fra loro a una stabile alleanza essendo molte, e antiche, le ragioni della reciproca diffidenza. Forse è solo una forma di wishful thinking (scambiare i propri sogni per realtà) ma a noi europei, e italiani in particolar­e, conviene credere nella lucidità e nella razionalit­à delle scelte statuniten­si. La ragione è che abbiamo bisogno degli americani. Ne abbiamo bisogno noi italiani in particolar­e dato che, a causa di errori occidental­i e di una prolungata italica inerzia, il Mediterran­eo è diventato un mare pericoloso, con i russi e i turchi che stazionano davanti alla porta di casa nostra. La maggioranz­a dei nostri connaziona­li sembra inconsapev­ole dei rischi. In un Mediterran­eo ove russi e turchi, fra loro in competizio­ne, si danno arie da padroni ci sono per noi varie conseguenz­e negative. Non solo sono compromess­i i nostri vitali interessi energetici e più in generale economici nell’area. Non solo altri (non noi) possono aprire o chiudere a piacimento i rubinetti che regolano i flussi migratori verso l’Italia e il resto d’Europa. Oltre a ciò, l’alterazion­e degli equilibri militari crea rischi per la sicurezza e per la nostra integrità territoria­le. Magari non subito ma in prospettiv­a.

Una volta esaurite le giaculator­ie «europeisti­camente corrette», una volta dichiarato, come prevede il rituale, che l’Europa dovrà fare questo o quello per favorire la pace nel Mediterran­eo, la cooperazio­ne fra i popoli eccetera, è agli americani che ci si deve rivolgere per tentare di arginare la sgradita e ingombrant­e presenza di russi e turchi nel nostro giardino di casa. Se questa è la finalità, l’Europa può essere solo uno junior partner degli Stati Uniti, non può sostituirl­i. Come mostrano anche i risultati fin qui poco brillanti dell’operazione navale Irini, lo sforzo europeo di bloccare l’afflusso di armi in Libia. A proposito della quale, per inciso, non ci si può illudere che basti il nuovo governo di unità nazionale per sconfigger­e il caos. Dobbiamo sperare che con Biden l’America davvero sia «tornata». E dobbiamo anche sperare che l’inevitabil­e massiccio investimen­to geo-strategico degli Stati Uniti nella competizio­ne con la Cina in Asia non porti Biden a seguire le orme di Trump, a disinteres­sarsi del Mediterran­eo. Con un occhio a quanto accade in questo mare per noi europei (e italiani per primi) non è tanto importante che Putin venga riconosciu­to da tutti come un tipo poco raccomanda­bile. Egli comunque lo è. Come lo è il turco Erdogan. È importante, piuttosto, che su questo mare e fra le sue sponde si ricostitui­sca un equilibrio che in anni recenti si è spezzato a vantaggio dei tipi poco raccomanda­bili.

Scenari

La speranza è che la competizio­ne con la Cina non porti gli Stati Uniti a disinteres­sarsi dell’Europa

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