Ora la Regione recuperi la reputazione perduta
La fallimentare catena di comando e l’incapacità di Aria, la struttura chiamata a gestire il piano di vaccinazione degli ottantenni, sono un brutto colpo per l’organizzazione sanitaria e per il capitale reputazionale su cui la Lombardia ha sempre fatto affidamento. C’è da augurarsi che il tardivo tampone del presidente Fontana con l’azzeramento dei vertici di Aria e il passaggio delle prenotazioni alle Poste italiane rimetta in sesto il traballante meccanismo che ha disorientato un po’ tutti, da Milano a Como a Cremona. Ma la disfatta della burocrazia amministrativa che fa capo alla giunta di centrodestra che governa la Regione non può essere liquidata con qualche testa che rotola o con un cerotto bagnato sulle ansie e le paure dei cittadini in lista d’attesa. Per troppi giorni sono mancate le risposte sulle procedure adottate e sull’assegnazione dei vaccini di volta in volta disponibili agli ultraottantenni e alle persone con fragilità. Il criterio di anzianità decrescente non è stato rispettato. L’anarchia delle chiamate ha creato angoscia e smarrimento. I medici di famiglia non sono stati messi nelle condizioni di rispondere ai loro pazienti. Alcune categorie professionali sono state ingiustamente privilegiate. Per settimane, davanti a una semplice richiesta di informazioni, i vertici della regione più ricca d’Italia hanno recitato una scena di Aspettando Godot.
Dicevano: andiamo. Ma rimanevano immobili. Divisi nei rispettivi palazzi il presidente Fontana e l’assessore Moratti. Separati in casa il commissario Bertolaso e l’assessore Caparini. Incapaci di fronteggiare l’emergenza i vertici di Aria. Una sensazione di impotenza già vista nella prima fase della pandemia e giustificata dalla violenza del virus, ripetuta per la vaccinazione antinfluenzale con i bandi sbagliati costati la testa dell’assessore Gallera. Inaccettabile nella terza fase, dopo un energico rimpasto di giunta e il cambio di un altro direttore generale della Sanità (il terzo dall’inizio della pandemia). Perché la Lombardia non fa più la Lombardia?, hanno scritto centinaia di cittadini al Corriere.
E perché proprio si deve ricorrere all’arte di arrangiarsi, come in un nuovo e inaspettato 8 settembre? Possibile che nessuno, davanti al corto circuito delle prenotazioni e degli sms mai spediti, abbia sentito il bisogno di creare una rete informativa e organizzare qualche chiamata per tranquillizzare almeno quegli ottantenni lasciati soli e con il dubbio di non essere più nelle liste? Cambiare Aria è doveroso e giusto, e sarà anche necessario fare i conti sociali e politici di questo fallimento. Ma prima, per favore, ci si rimetta a lavorare per mettere in sicurezza gli anziani della Lombardia.
Non si dovrebbero più ripetere scene come quelle di sabato a Cremona dove cittadini mai avvertiti prima sono stati precipitosamente chiamati al telefono, perché nell’hub dovevano essere 500 ed erano soltanto in 60; o come per gli ottantenni chiamati e spediti all’ultimo minuto a venti o trenta chilometri di distanza dal domicilio. Per fortuna, oltre ai casi di vergognosa inefficienza, ci sono episodi di umana solidarietà che restituiscono valore alla politica e allo spirito di servizio. Come il sindaco forzista di San Bassano, nel Cremonese, che i suoi anziani li va a prendere in pullman, li porta a vaccinarsi e alla fine dice: «Sono un uomo pratico, quando c’è un problema lo risolvo». Nella confusione, sull’orlo del panico da inefficienza, resiste ancora la capacità di fare: è questo l’esempio a cui fare riferimento. Prima del My day e del commissariamento con l’esercito, c’è qualche raggio di speranza che rimanda alle radici del vero spirito lombardo: rimboccarsi le maniche e darsi da fare.