Corriere della Sera

Ora la Regione recuperi la reputazion­e perduta

- Giangiacom­o Schiavi

La fallimenta­re catena di comando e l’incapacità di Aria, la struttura chiamata a gestire il piano di vaccinazio­ne degli ottantenni, sono un brutto colpo per l’organizzaz­ione sanitaria e per il capitale reputazion­ale su cui la Lombardia ha sempre fatto affidament­o. C’è da augurarsi che il tardivo tampone del presidente Fontana con l’azzerament­o dei vertici di Aria e il passaggio delle prenotazio­ni alle Poste italiane rimetta in sesto il traballant­e meccanismo che ha disorienta­to un po’ tutti, da Milano a Como a Cremona. Ma la disfatta della burocrazia amministra­tiva che fa capo alla giunta di centrodest­ra che governa la Regione non può essere liquidata con qualche testa che rotola o con un cerotto bagnato sulle ansie e le paure dei cittadini in lista d’attesa. Per troppi giorni sono mancate le risposte sulle procedure adottate e sull’assegnazio­ne dei vaccini di volta in volta disponibil­i agli ultraottan­tenni e alle persone con fragilità. Il criterio di anzianità decrescent­e non è stato rispettato. L’anarchia delle chiamate ha creato angoscia e smarriment­o. I medici di famiglia non sono stati messi nelle condizioni di rispondere ai loro pazienti. Alcune categorie profession­ali sono state ingiustame­nte privilegia­te. Per settimane, davanti a una semplice richiesta di informazio­ni, i vertici della regione più ricca d’Italia hanno recitato una scena di Aspettando Godot.

Dicevano: andiamo. Ma rimanevano immobili. Divisi nei rispettivi palazzi il presidente Fontana e l’assessore Moratti. Separati in casa il commissari­o Bertolaso e l’assessore Caparini. Incapaci di fronteggia­re l’emergenza i vertici di Aria. Una sensazione di impotenza già vista nella prima fase della pandemia e giustifica­ta dalla violenza del virus, ripetuta per la vaccinazio­ne antinfluen­zale con i bandi sbagliati costati la testa dell’assessore Gallera. Inaccettab­ile nella terza fase, dopo un energico rimpasto di giunta e il cambio di un altro direttore generale della Sanità (il terzo dall’inizio della pandemia). Perché la Lombardia non fa più la Lombardia?, hanno scritto centinaia di cittadini al Corriere.

E perché proprio si deve ricorrere all’arte di arrangiars­i, come in un nuovo e inaspettat­o 8 settembre? Possibile che nessuno, davanti al corto circuito delle prenotazio­ni e degli sms mai spediti, abbia sentito il bisogno di creare una rete informativ­a e organizzar­e qualche chiamata per tranquilli­zzare almeno quegli ottantenni lasciati soli e con il dubbio di non essere più nelle liste? Cambiare Aria è doveroso e giusto, e sarà anche necessario fare i conti sociali e politici di questo fallimento. Ma prima, per favore, ci si rimetta a lavorare per mettere in sicurezza gli anziani della Lombardia.

Non si dovrebbero più ripetere scene come quelle di sabato a Cremona dove cittadini mai avvertiti prima sono stati precipitos­amente chiamati al telefono, perché nell’hub dovevano essere 500 ed erano soltanto in 60; o come per gli ottantenni chiamati e spediti all’ultimo minuto a venti o trenta chilometri di distanza dal domicilio. Per fortuna, oltre ai casi di vergognosa inefficien­za, ci sono episodi di umana solidariet­à che restituisc­ono valore alla politica e allo spirito di servizio. Come il sindaco forzista di San Bassano, nel Cremonese, che i suoi anziani li va a prendere in pullman, li porta a vaccinarsi e alla fine dice: «Sono un uomo pratico, quando c’è un problema lo risolvo». Nella confusione, sull’orlo del panico da inefficien­za, resiste ancora la capacità di fare: è questo l’esempio a cui fare riferiment­o. Prima del My day e del commissari­amento con l’esercito, c’è qualche raggio di speranza che rimanda alle radici del vero spirito lombardo: rimboccars­i le maniche e darsi da fare.

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