Corriere della Sera

La corsa di Belgrado all’immunità fra il miracolo e la propaganda

La Serbia fa da sola e apre a Sinopharm e Sputnik, ma ha record di contagi e NoVax (fra cui Djokovic)

- dal nostro inviato Francesco Battistini

Non ditelo a Novak il NoVax. L’avrebbero assoldato volentieri a far da testimonia­l: una primula all’occhiello, la testa di serie per lo stand 3 della fiera di Belgrado, dove s’inocula. Ma è una palla persa: sui campioni di vaccino, il campione Novak Djokovic va di rovescio. Un anno fa s’è preso il Covid, causa un bel torneo negazionis­ta. E qualche mese dopo, a chi gli chiedeva di dare il buon esempio, ha servito un «no, grazie, per me il vaccino è inaccettab­ile». Number One, paura a mille. Ora Novak il NoVax se ne sta alla larga, mentre Belgrado stringe i tempi. Vive barricato e a bordocampo tra la famiglia e il suo tennis club di Dorcol: «Con tutte queste restrizion­i — dice —, ho bisogno di trovare equilibrio». E in fiera non s’è mai visto, né si vedrà mai. Non importa, «non abbiamo bisogno di chi ci faccia pubblicità: guardi che fila…», indica Dragana Milosevic, 57 anni, il medico che dirige lo stand: «Ognuno in Serbia è libero di vaccinarsi, di non vaccinarsi e di scegliersi il vaccino che vuole. Ma da qualche giorno la fila è aumentata. Con quel che sta succedendo, piano piano arrivano tutti».

Sembra la Belgrado del ‘99. Le strade vuote e bigie di pioggia. Il coprifuoco e i negozi sbarrati. La gente silenziosa e impoverita, in coda a chiedere un antidoto alla pandemia, oggi, come una minestra sotto le bombe, ieri. Nessuno sorride. Eppure sarebbe da far festa: «Il vaccino è un’arma potente, il vaccino è vita!», s’esalta il presidente Aleksandar Vucic, che in un’altra vita faceva il portavoce di regime a Milosevic: «La ricca Ue s’è costruita per sé le scialuppe e noialtri, fuori dall’Europa, ci ha lasciati tutti ad affondare col Titanic. Abbiamo dovuto arrangiarc­i». E nuotare nel libero mercato delle alleanze: se l’Occidente traccheggi­ava coi suoi burosauri sanitari, ha pensato il presidente, perché non guardare a Oriente gli amici Xi Jinping e Putin, e non aprire subito due fabbriche con bandiere cinesi e russe da 40 milioni di dosi?

È stato così che la stampa amica ha finito per cantare lodi al «vaccino di Vucic», dopo i tanti dubbi sui numeri che il governo fornì nella prima ondata 2020: stavolta niente trucchi, più di due milioni d’iniettati al primo round, 800 mila i definitivi, in salvo quasi la metà della popolazion­e adulta. In Europa han fatto meglio solo gli inglesi. È stato così che sono comparsi il New York Times, le tv giapponesi, gl’inviati a interrogar­e questi messia serbi che moltiplica­no aghi e vaccino, offrendo degustazio­ni a piacere e perfino secondo simpatia politica: chi si sente più occidental­e, come la premier Ana Brnabic, va in fiera e sceglie Pfizer BioNTech o AstraZenec­a; chi è in affari coi cinesi, vedi Vucic, s’inietta Sinopharm; per chi ha un vecchio cuore slavo tipo il presidente del Parlamento, Ivida Dacic, c’è lo Sputnik V. Scegli la marca dal menù, prenoti online, apri il frigo e poi va’, la tua dose t’ha salvato.

Miracolo a Belgrado? C’è anche un po’ di propaganda. Perché più si vaccina, che paradosso, più ci s’infetta: tante iniezioni sono made in China, dicono i virologi, e danno la protezione che danno. La gente fiduciosa non si mascherina più, la curva non cala mai ed ecco perché, alla fine, non si sorride mai.

Da una settimana è tornato il lockdown pesante. Tutti chiusi, tranne alimentari e distributo­ri. In un’altalena che dura da mesi: «Siamo il Paese che già l’anno scorso imponeva misure tra le più severe d’Europa — dice l’analista

Andrej Pavicevic — , e intanto organizzav­a elezioni, affollati tornei di tennis, persino una finale di calcio col pubblico». Adesso c’è il Paese che chiude di nuovo e però lascia qua e là libertà d’assembrame­nto: ok ai funerali immensi del cantautore Djordje Balasevic, il De André jugoslavo morto di Covid a Novi Sad; ok all’oceanica inaugurazi­one del monastero

Una somministr­azione alla fiera di Belgrado di Stefan Nemanja, fondatore medievale della Serbia. E piste di sci, feste illegali, procession­i religiose. Sulla Maresciall­o Tito, davanti a una mostra fotografic­a che celebra i medici-eroi, a fiato libero si radunano i sostenitor­i dell’ex sindaco Gilas. Sabato sono sfilati a migliaia i no mask, a chiedere più libertà e già che c’erano pure la restituzio­ne del Kosovo (ma che c’entra?).

«Bisogna essere coerenti», è critico il dottor Dragan Joksic, 74 anni: lui c’era nel 1972, quando qui esplose il vaiolo e Tito completò in due sole settimane la vaccinazio­ne di 18 milioni di jugoslavi, l’ultima grande campagna sanitaria che l’Europa ricordi. «Allora fummo bravi a tracciare i contagi, il resto venne da solo. Io siringavo migliaia di persone al giorno: avevo una tenda a un incrocio della strada per Spalato, facevo scendere la gente dalle auto, dai bus, dalle bici, iniettavo chiunque. E poi consegnavo un cartoncino giallo, il lasciapass­are. Qualcosa di quell’esperienza storica è rimasto: infatti la Serbia è più avanti nei vaccini. Ma noi eravamo più severi: guai a chi trasgrediv­a su distanziam­enti e chiusure. Non erano ammesse proteste. La tv aveva solo un canale, niente social, usavamo striscioni e volantini. Certo, comandava Tito. E questo facilitava il rispetto delle regole…».

La salvezza è lontana. Qualche giorno fa, in terapia intensiva è finita Biljana Plavsic, la capa dei serbi di Bosnia ai tempi di Milosevic, l’unica donna condannata all’Aja per crimini di guerra. Nessuno ci ha fatto caso perché il solo miracolo visibile, per ora, è quest’emergenza che immunizza dagli odi d’un tempo. A Pale, chi si presenta al reparto Covid trova una dottoressa scrupolosa in camice bianco. Si chiama Sonja Karadzic. È la figlia dello psichiatra Radovan, il macellaio dei Balcani. Un tempo era fanatica come il padre, non ha cambiato idee: «Ma oggi — dice — il mio grande nemico è il virus».

La campagna

In Europa meglio solo gli inglesi, ma i casi non calano ed è tornato il lockdown pesante

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Sabato migliaia di persone sono scese in piazza a Belgrado per protestare contro le restrizion­i (foto Afp/Oliver Bunic)
La manifestaz­ione Sabato migliaia di persone sono scese in piazza a Belgrado per protestare contro le restrizion­i (foto Afp/Oliver Bunic)
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IIl centro
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Un furgone con 8 mila dosi Pfizer
Il trasporto Un furgone con 8 mila dosi Pfizer

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