Erdogan silura il banchiere centrale Sprofondano la Borsa e la lira turca
I mercati reagiscono male al terzo licenziamento in 2 anni. La moneta perde il 15%, inflazione alle stelle
Venerdì scorso, a mercati chiusi, Recep Tayyip Erdogan ha licenziato Naci Agbal, il governatore della Banca centrale (Cbrt), che giovedì, a sorpresa, aveva alzato di 200 punti base il costo del denaro, portandolo al 19%, per cercare di frenare l’inflazione galoppante del Paese che era al 15,6% annuo a febbraio, contro il target ufficiale del 5%. E, ieri, la risposta dei mercati è stata durissima: la lira turca è arrivata a perdere oltre il 15% rispetto a euro e dollaro, tornando a un passo dai minimi storici toccati prima della nomina di Agbal e della contemporanea uscita di scena del discusso ministro delle Finanze Berat Albayrak, genero di Erdogan. Pesantissimo è stato anche il calo della Borsa di Istanbul, che ha più volte sospeso le negoziazioni, con un crollo finale del suo indice di quasi il 10%.
Una giornata da dimenticare per l’economia turca tanto che, in mattinata, il ministro delle Finanze, Lutfi Elvan, aveva tentato di gettare acqua sul fuoco: «Non ci sarà assolutamente alcun allontanamento dal meccanismo del libero mercato». È la terza volta in 20 mesi che il presidente turco impone un cambio di governo alla Cbrt, minando così, agli occhi del mondo, la sua autonomia. «I recenti cambiamenti evidenziano ancora una volta la limitata indipendenza operativa della Banca Centrale della Turchia» è il commento di S&P Global Ratings che lancia l’allarme sulle
riserve valutarie nette ormai «vicine allo zero».
Il motivo dello scontro è proprio la politica economica. Erdogan è fautore di una forte crescita alimentata da crediti a basso costo ed è nemico giurato dei tassi d’interesse elevati, che definisce regolarmente come «padri e madri di tutti i mali» perché favorirebbero l’inflazione, a dispetto di quanto sostengono tutte le teorie economiche classiche.
Lo scorso 7 novembre Agbal, un rispettato ex-ministro della Finanze, era stato scelto dopo che lira turca aveva perso il 40% da inizio anno verso il dollaro. La sua nomina era
stata applaudita dai mercati ma l’ultimo aumento del costo del denaro, il doppio di quanto si aspettassero gli analisti, è stato indigeribile per Erdogan, anche perché si è aggiunto ai 675 punti base di incremento del 2020.
Quest’anno la lira aveva avviato un recupero, arrivando ad essere la migliore divisa dei Paesi emergenti. Ma la nomina a governatore di Sahap Kavcioglu ha creato il caos. A pesare di più è stato il curriculum da economista poco ortodosso dell’ex deputato del partito di governo, che delle colonne del quotidiano filo-governativo Yeni Safak difendeva a spada tratta la campagna presidenziale contro i tassi d’interesse.
Lo strappo arriva in un momento in cui il Paese è già fiaccato dalla pandemia che ha avuto, come ovunque, un impatto negativo sull’economia. I prezzi dei generi alimentari sono in continuo aumento. La carne è diventata un bene di lusso: dal 2007, il prezzo medio del pollame è aumentato del 238% e quello della carne bovina del 290%.
Per l’ex zar dell’economia turca Ali Babacan, potente ministro nei primi anni di Erdogan e oggi leader del partito di opposizione Deva, Agbal potrebbe aver pagato anche la volontà di far luce sui 130 miliardi di riserve di valuta straniera bruciati prima del suo mandato.
Lo scetticismo dei mercati è dovuto anche alle ultime mosse della Turchia in tema di diritti umani. Giovedì scorso il procuratore generale della Cassazione ha chiesto di mettere al bando l’Hdp, il partito filocurdo che è la terza forza del Paese, e 687 suoi dirigenti. Sabato, poi, Ankara è uscita dalla Convenzione di Istanbul, nata nel 2011 per combattere la violenza sulle donne, e la gestione di Gezi Park, simbolo della protesta contro Erdogan, è stata tolta al Comune della megalopoli, amministrato dall’opposizione, ed è passata al direttorato per gli Affari religiosi.
Dal 2007 ad oggi i prezzi di pollame e carne bovina sono quasi quadruplicati