Se la trasgressione dipende dal contest
«Siamo ribelli, mica scemi». Con questo motto i Maneskin, il quartetto di ventenni vincitore del Festival di Sanremo, hanno coraggiosamente deciso di censurarsi pur di essere ammessi al concorso dell’Eurovision Song Contest, dove non sono consentite le parolacce. «Togliere una parolaccia non cambia il significato di una canzone», hanno dichiarato, «è una questione di buon senso, sarebbe sciocco farsi eliminare dal contest». Dunque, «vi conviene toccarvi i c…oni» diventerà «vi conviene aprire i portoni» o qualcosa di simile, in modo che non si perda la rima con «vi conviene stare zitti e buoni». E il molto trasgressivo «non sa di che c…o parla» diventerà «non sa di che cavolo parla» e se «cavolo» è troppo forte va bene anche «caspita». Fieri di aver vinto a Sanremo perché: «siamo andati dritti per la nostra strada», adesso scantonano rimandando a data da stabilire la rivoluzione annunciata: «La nostra non è una rabbia nei confronti di qualcuno, ma un’ira che smuove, che crea le rivoluzioni» hanno dichiarato, «un’ira catartica rivolta alle oppressioni e agli oppressori, che porta a sfogarsi e a ribellarsi verso tutto ciò che ti fa sentire sbagliato...». Ribelli ed eversivi in Italia, zitti e buoni in Europa. Dipende dal contest. Tuttavia, chi ricorda le provocazioni rock anni 70 coglierà facilmente la differenza tra trasgressione e marketing. Da che arte è arte, quando la rivoluzione ha bisogno di essere dichiarata per andare a segno nasce furba o compiaciuta. Dunque come fenomeno commerciale o estetizzante. Chissà come avrebbe reagito Dante, negli «anni bui» del Medioevo, se qualcuno gli avesse chiesto di togliere dal Poema Sacro scurrilità come «merda», «merdose», «puttana» e «puttaneggiar»… Nel settecentesimo si potrebbe anche festeggiare il versante sboccato del Poeta con l’aiuto di Federico Sanguineti (Le parolacce di Dante Alighieri, Tempesta editore). Nell’introduzione, Moni Ovadia, amante di quel linguaggio da tintori, bettolai e lanaioli, ricorda un episodio che potrebbe tornare molto utile ai professori troppo fissati sul commento scolastico. Suo suocero gli riferì che un giorno un contadino, ascoltando recitare a braccio le terzine dantesche nelle aie della Toscana, esclamò entusiasta: «’ngegnere ‘un ci hapisco nulla… ma sento che gli è bello!».