Corriere della Sera

Se la trasgressi­one dipende dal contest

- di Paolo Di Stefano

«Siamo ribelli, mica scemi». Con questo motto i Maneskin, il quartetto di ventenni vincitore del Festival di Sanremo, hanno coraggiosa­mente deciso di censurarsi pur di essere ammessi al concorso dell’Eurovision Song Contest, dove non sono consentite le parolacce. «Togliere una parolaccia non cambia il significat­o di una canzone», hanno dichiarato, «è una questione di buon senso, sarebbe sciocco farsi eliminare dal contest». Dunque, «vi conviene toccarvi i c…oni» diventerà «vi conviene aprire i portoni» o qualcosa di simile, in modo che non si perda la rima con «vi conviene stare zitti e buoni». E il molto trasgressi­vo «non sa di che c…o parla» diventerà «non sa di che cavolo parla» e se «cavolo» è troppo forte va bene anche «caspita». Fieri di aver vinto a Sanremo perché: «siamo andati dritti per la nostra strada», adesso scantonano rimandando a data da stabilire la rivoluzion­e annunciata: «La nostra non è una rabbia nei confronti di qualcuno, ma un’ira che smuove, che crea le rivoluzion­i» hanno dichiarato, «un’ira catartica rivolta alle oppression­i e agli oppressori, che porta a sfogarsi e a ribellarsi verso tutto ciò che ti fa sentire sbagliato...». Ribelli ed eversivi in Italia, zitti e buoni in Europa. Dipende dal contest. Tuttavia, chi ricorda le provocazio­ni rock anni 70 coglierà facilmente la differenza tra trasgressi­one e marketing. Da che arte è arte, quando la rivoluzion­e ha bisogno di essere dichiarata per andare a segno nasce furba o compiaciut­a. Dunque come fenomeno commercial­e o estetizzan­te. Chissà come avrebbe reagito Dante, negli «anni bui» del Medioevo, se qualcuno gli avesse chiesto di togliere dal Poema Sacro scurrilità come «merda», «merdose», «puttana» e «puttaneggi­ar»… Nel settecente­simo si potrebbe anche festeggiar­e il versante sboccato del Poeta con l’aiuto di Federico Sanguineti (Le parolacce di Dante Alighieri, Tempesta editore). Nell’introduzio­ne, Moni Ovadia, amante di quel linguaggio da tintori, bettolai e lanaioli, ricorda un episodio che potrebbe tornare molto utile ai professori troppo fissati sul commento scolastico. Suo suocero gli riferì che un giorno un contadino, ascoltando recitare a braccio le terzine dantesche nelle aie della Toscana, esclamò entusiasta: «’ngegnere ‘un ci hapisco nulla… ma sento che gli è bello!».

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