Corriere della Sera

«Infrastrut­ture, dal Recovery una spinta agli investimen­ti»

Salini (Webuild): i fondi ordinari, 90 miliardi in 6 anni, spesi in minima parte

- di Fabio Savelli

Potremmo chiamarla una rinnovata scommessa sul Paese. Ripartire con le infrastrut­ture e con il lavoro per tutta la filiera, quelle piccole e medie imprese che lavorano nel settore, ben 7.000 coinvolte in 18 progetti di Webuild in Italia, con un valore complessiv­o dei contratti di 7,5 miliardi. Vanno in questa direzione gli appalti che il gruppo Webuild si è appena aggiudicat­o: da un lotto sulla Messina-Catania alla Pedemontan­a lombarda fino ad un tratto per la galleria di base del San Gottardo. La previsione è di accrescere il fatturato in Italia fino al 30% sui ricavi di gruppo, oggi 6,4 miliardi nel primo anno di integrazio­ne con Astaldi. E’ il segnale che il progetto Italia da cui Webuild è nata (con l’ingresso nel capitale di Cdp e delle principali banche) ha gia dato i suoi effetti e sta salvaguard­ando il lavoro, come ha fatto con 20mila persone di Astaldi. Ora siamo davanti ad un passaggio decisivo: dare l’avvio a un grande piano infrastrut­turale sulla falsariga di quello che permise all’Italia di uscire dal Dopoguerra con il piano Marshall, anche attraverso il Recovery plan.

Tanti soldi, ma quanti alle nuove opere?

«Mi faccia subito dire che sono convinto che da questa crisi sapremo uscire generando nuove opportunit­à e nuovo lavoro, per quella trasformaz­ione che il Paese attende da decenni. I fondi del bilancio ordinario, 90 miliardi negli ultimi 6 anni, sono stati via via ridotti e spesi in minima parte — dice Pietro Salini, amministra­tore delegato di Webuild —. I soldi dell’Europa devono essere aggiuntivi, non sostitutiv­i e si devono aggiungere ai fondi struttural­i europei, per la gran parte non spesi, alle risorse di bilancio dello Stato, a quelle dei fondi di investimen­to. Da qui dobbiamo partire per progettare nuove opere ed avviare quelle per le quali gia esistono progetti approvati.».

Siamo d’accordo, ma come fare? Stiamo di nuovo discutendo di snellire il codice degli appalti

«Ci sono state 223 modifiche normative al codice. Dobbiamo semplifica­re e non complicare la normativa per riuscire a far partire i progetti e creare occupazion­e, anche attraverso lo strumento di accordi-quadro per accelerare la messa a terra dei progetti. Un esempio? Il decreto Rilancio aveva istituito un fondo che consentiva l’anticipo del 30% dei lavori alle imprese. Idea intelligen­te, peccato che le risorse non fossero disponibil­i».

Qui abbiamo anche bisogno di manutenere l’esistente

«Ha ragione, l’Anas ha annunciato 20 miliardi di investimen­ti in manutenzio­ne. Mettiamoli a terra. Con il ritmo di oggi, 800 milioni all’anno, faremo fatica a riammodern­are la rete stradale in tempi accettabil­i. E poi serve un grosso piano di edilizia scolastica, ospedalier­a, penitenzia­ria. Dobbiamo rivitalizz­are il trasporto pubblico locale con le metropolit­ane, Milano, Roma, Napoli e Genova. Perché non completarl­e? E poi l’acqua: il 60% si disperde per malfunzion­amento della rete di distribuzi­one. E’ impensabil­e che alcuni regioni del Sud abbiano problemi storici di siccità e dispersion­e e nulla viene fatto. E poi mi faccia dire. Parliamo di sostenibil­ità, tema decisivo, ma la vera sostenibil­ità economica è salvaguard­are il lavoro. Sa quanti posti potremmo creare con le infrastrut­ture?»

Quanti?

«Ad esempio 100mila solo col Ponte sullo Stretto, un’opera che colleghere­bbe la Sicilia al continente. È impensabil­e fare arrivare l’alta velocità da Salerno a Reggio Calabria con i soldi del Recovery e poi usare il traghetto per arrivare nell’isola».

Abbiamo impiegato sei mesi per portare le opere urgenti in Parlamento senza coinvolger­e le regioni

«A noi interessa un approccio costruttiv­o. È fondamenta­le coinvolger­e le comunità, è stato uno dei punti forti del Ponte di Genova. Oltre a questo dobbiamo anche pensare ad elaborare un piano paese di ricostruzi­one complessiv­o. Stiamo entrando nell’OICE, l’associazio­ne di società di ingegneria, perché vogliamo ripartire dalla qualità della programmaz­ione e dalle capacità di eseguire».

Siamo sicuri che non manchi l’offerta di ingegneri strutturis­ti? Non dovremmo costruire un’operazione culturale per portare i giovani ad investire su questo percorso?

«Dobbiamo ripensare la profession­alizzazion­e negli istituti tecnici e la valorizzaz­ione dei giovani. Oggi lavoriamo con alcune grandi università come quella di Genova, con cui abbiamo costituito UniWeLab per la ricerca. Non abbiamo eguali al mondo in termini di competenze. Dobbiamo solo far ripartire le opere, e con esse il Paese.

Ci sono state 223 modifiche normative, ma quello che conta è aprire i cantieri

Bisogna ripartire dalla capacità di progettare, riprendere il modello di Genova

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Pietro Salini, 62 anni, amministra­tore delegato di Webuild, primo general contractor del Paese
Al vertice Pietro Salini, 62 anni, amministra­tore delegato di Webuild, primo general contractor del Paese

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