Corriere della Sera

Dante, profeta di speranza

Gianfranco Ravasi illustra l’attualità anche religiosa dell’autore della «Commedia»: è di lui che parla la nuova Lettera Apostolica di Francesco che esce giovedì 25 «Un cristiano che parla anche ai non credenti» E il Papa gli dedica la «Candor Lucis aeter

- di Gian Guido Vecchi Il dipinto Qui sopra: Jean-Léon Gérôme (Vesoul, Francia, 1824– Parigi, 1904), Dante (1864, olio su tela, particolar­e), collezione privata

«Dante è davvero un profeta di speranza, come lo considera Papa Francesco. Nel tempo della pandemia viviamo un periodo di dolore, paura, sconforto. Anche Dante ha vissuto un periodo così e ci ha mostrato come la grande poesia e la fede possano fiorire anche in un terreno devastato». Il cardinale Gianfranco Ravasi sorride, «la Divina Commedia è un viaggio, un grande cammino che comincia il 25 marzo», e proprio giovedì sarà pubblicata la Lettera Apostolica Candor Lucis aeternae di Papa Francesco, dedicata a Dante Alighieri: il riferiment­o è al «candore de la etterna luce» che Dante, nel terzo trattato del Convivio, cita dal Libro della Sapienza. Nella tradizione della Chiesa, il 25 marzo è il giorno dell’Annunciazi­one e anche della morte di Gesù, la data prossima all’equinozio di primavera che la dantistica indica (ma c’è chi opta per il Venerdì Santo del 1300, cioè l’8 aprile) come giorno d’inizio della Commedia. Il testo del Papa, come le iniziative programmat­e dal pontificio Consiglio della Cultura guidato dal cardinale Ravasi, mostrano tutta l’attenzione della Santa Sede per Dante, nel settecente­simo anniversar­io di morte.

Eminenza, che cosa ci racconta, oggi, questo viaggio?

«Ciò che regge il cammino di Dante, il nostro cammino, è la speranza. Il viaggio comincia dall’Inferno, nel realismo del sottosuolo, nel fango della storia, la terra come «l’aiuola che ci fa tanto feroci» vista dall’alto del Paradiso, al canto XXII. Ma non è che finisca con il dolore irrimediab­ile di cerchi, gironi e bolge. Nel Purgatorio c’è la rappresent­azione simbolica del passaggio dal peccato alla catarsi alla liberazion­e, dell’intreccio tra grazia divina e libertà umana. Ad esempio, quando nel canto terzo mette in scena la figura di Manfredi, che era stato trafitto da due colpi di spada…».

«…mentre che la speranza ha fior del verde».

«Proprio così. Manfredi, figlio illegittim­o di Federico II, era stato scomunicat­o. E mentre sta morendo si rivolge a “quei che volontier perdona”, a Dio. Sono versi fondamenta­li: “Orribil furon li peccati miei;/ ma la bontà infinita ha sì gran braccia/ che prende ciò che si rivolge a lei”. Questa è la parabola del figliol prodigo: fino all’ultimo il Padre ti tende le “gran braccia”. Dante, oltre che poeta sommo, è un grande cristiano. Ed è di casa in Vaticano…».

In che senso?

«Nella Stanza della Segnatura, Raffaello lo rappresent­a due volte. Nella cosiddetta Disputa del Santissimo Sacramento, sintesi della dottrina trinitaria, appare tra Agostino e Tommaso d’Aquino, come un teologo che annuncia la verità divina. La seconda immagine, col suo profilo segaligno, lo raffigura sul Parnaso come poeta, con Omero e Virgilio: la via pulchritud­inis, la bellezza che parla anche a chi non crede. Interessan­te l’ interpreta­zione duplice: Dio gli ha dato il dono della poesia e lo ha incaricato di dire la verità. Il bello e il vero uniti».

Francesco è il terzo Papa a scrivere un testo ufficiale così importante su Dante.

«Sì, il primo fu Benedetto XV: nel 1921 compose un’enciclica, In Praeclara Summorum. Ma il Papa che in assoluto ha cantato più Dante è Paolo VI, che nel 1965 gli dedicò la Lettera Apostolica Altissimi cantus, un testo bellissimo. Da un lato scriveva “Dante è nostro”, non come trofeo ma per affermarne l’universali­tà e dire che vi si scoprono i tesori del pensiero e del sentimento cristiano. Dall’altra ammetteva: “Né rincresce ricordare che la voce di Dante si alzò sferzante e severa contro più d’un Pontefice romano, ed ebbe aspre rampogne per istituzion­i ecclesiast­iche e per persone che della Chiesa furono ministri e rappresent­anti”».

In effetti nella «Commedia» abbondano i Papi all’inferno: nella terza bolgia dei simoniaci, ficcato a testa in giù in un pozzo occupato da svariati predecesso­ri, Niccolò III si illude che Bonifacio VIII sia arrivato in anticipo e annuncia Clemente V…

«Sì, ci mette pure Papi ancora vivi! Del resto, negli anni del Concilio ero a Roma e ricordo che Paolo VI volle regalare a tutti i padri riuniti nelle Assise un’edizione della Divina Commedia…».

L’esempio di Montini

«Paolo VI regalò ai padri riuniti per il Concilio Vaticano II un’edizione del poema»

Sulla corruzione della Curia e della Chiesa è durissimo: «A la puttana e a la nova belva», scrive nel canto XXXII del Purgatorio. Forse non è un caso che i Papi ne abbiano scritto solo dopo la fine del potere temporale: imbarazzav­a la Chiesa?

«Probabilme­nte sì. Certo lo si celebrava: a chiamare Raffaello fu Giulio II, che magari Dante avrebbe messo, pure lui, all’inferno! Però lo si teneva un po’ a distanza. Era difficile elaborare la critica gene

rale sulla corruzione della Chiesa: per questo fu molto significat­ivo il dono di Paolo VI ai padri conciliari».

Dante è bellissimo da leggere, ma non facile…

«Michelange­lo diceva di lui: “Simil uom né maggior non nacque mai”. Dispiega un’infinità di temi teologici, filosofici, astronomic­i, storici… Ci sarebbe un’infinità di cose da dire. Si pensi alla centralità delle figure femminili, Maria, Beatrice, Lucia…O alla visione della Trinità, al termine del Paradiso, che al centro “mi parve pinta de la nostra effige”: la nostra immagine, l’immagine del Cristo, il senso dell’essere nel volto umano…Chi non ha almeno una conoscenza essenziale della teologia non riesce a percorrere appieno questo viaggio. Inviterei la cultura contempora­nea a non considerar­e la teologia come una cosa marginale, vecchia, decotta… ».

Accade questo?

«Purtroppo sì. E invece qui vediamo la potenza di un pensiero che si fa poesia. In Dante si mostra quanto il pensiero cristiano sia importante nella cultura laica. Ed è drammatico il fatto che si tenda a insegnarlo in maniera superficia­le, nelle scuole. Magari puoi scrivere note esplicativ­e ma devi far capire la passione che animava Dante: un credente fervido e indefettib­ile. Non ti fa decollare dalla realtà: c’è l’inferno, tutti i vizi e le tragedie della storia le ha rappresent­ate. E poi c’è la forza della trasfigura­zione, il “trasumanar” della redenzione cristiana. Lui è vissuto di quello».

Cosa dice Dante alla Chiesa, ancora oggi?

«L’autenticit­à del messaggio, senza compromess­i mondani. E il coraggio della sincerità, anche nell’autocritic­a. È la parresía che ci indica Francesco, segno di libertà interiore e di conversion­e».

Un poeta lo si celebra leggendolo. Che cosa direbbe per invitare a farlo?

«Le parole che confessava Jorge Luis Borges, grande poeta argentino che Francesco ha conosciuto, a proposito della Divina Commedia: “Nessuno ha il diritto di privarsi di questa felicità”».

«Ci insegna il coraggio della sincerità, anche nell’autocritic­a, e il bisogno di conversion­e»

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Qui sopra: il cardinale Gianfranco Ravasi. È stato ordinato sacerdote nel 1966 dal cardinale Giovanni Colombo. È stato creato cardinale nel 2010 da Papa Benedetto XVI
Studioso e cardinale Qui sopra: il cardinale Gianfranco Ravasi. È stato ordinato sacerdote nel 1966 dal cardinale Giovanni Colombo. È stato creato cardinale nel 2010 da Papa Benedetto XVI
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