UN’IMPAZIENZA STRUMENTALE CHE SI SCARICA SULLO STATO
Il sospetto è che a qualcuno l’idea di una tregua appaia sinonimo di subalternità. È come se attenersi a una linea di responsabilità e di rispetto delle regole di comportamento dettate da Palazzo Chigi significasse perdere identità politica, potere e, in prospettiva, voti. A ben guardare, le manifestazioni violente che punteggiano gli ultimi giorni esasperano e strumentalizzano un malessere diffuso. Ma rischiano di essere non solo lo sfogo di ceti produttivi impoveriti dalle restrizioni rese necessarie dalla pandemia del coronavirus. Sono anche il prodotto finale di una diffidenza verso lo Stato, diffusa a piene mani. Proprio mentre si comincia a vedere la via d’uscita, scatta una sindrome sospetta dell’impazienza. E pochi giorni dopo che le forze politiche mostravano di volere fermare le polemiche, le tensioni sono riesplose. Riaffiora la voglia di avere «una data certa» per le riaperture: come se l’andamento del Covid si potesse prevedere a prescindere dai comportamenti individuali. Eppure, il caso eclatante della Sardegna dovrebbe insegnare qualcosa. La regione è passata in meno di due mesi da zona bianca quasi libera dai contagi, a zona rossa di nuovo immersa nell’incubo. Invece, il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, esponente del Pd, contraddice le indicazioni del commissario per l’emergenza della pandemia. Il generale Francesco Paolo Figliuolo ha ribadito che le vaccinazioni debbono continuare «in modo uniforme a livello nazionale, senza deroghe», per «mettere al sicuro le persone fragili» e i più anziani. Ma De Luca risponde che non seguirà il metodo per fasce d’età, sostenendo che altrimenti l’economia sarà morta. E minaccia ritorsioni se non riceverà una fornitura di vaccini destinati alla Campania ma non ancora arrivati. Quanto alla Lega, dopo una breve pausa di silenzio il leader Matteo Salvini è tornato a chiedere riaperture immediate per alcune attività, pur invitando alla calma i contestatori che ieri si sono scontrati con le forze dell’ordine. L’impressione è che prevalga l’esigenza di assecondare un’opinione pubblica e una «piazza» stanche; e insieme l’istinto a assecondarne gli umori, anche i più emotivi, senza nemmeno tentare di rassicurarle.
In più, forse nella prospettiva di una riapertura graduale e in sicurezza di alcune regioni, ci sono partiti che cercano di alzare i toni per poi rivendicare la paternità di eventuali decisioni del governo in quella direzione. Si tratta di un gioco miope e rischioso. Finisce per sottolineare una volta di più non solo i ritardi dello Stato, in larga parte dipendenti dal mancato rispetto dei contratti da parte di alcune multinazionali farmaceutiche. Evidenzia piuttosto la spregiudicatezza di classi dirigenti locali e non, pronte a scaricare appena possibile le responsabilità su altri. Un problema culturale, prima che politico.
Dietro le proteste e le violenze una spregiudicatezza che impedisce qualsiasi tregua Un gioco miope e rischioso