Corriere della Sera

UN’IMPAZIENZA STRUMENTAL­E CHE SI SCARICA SULLO STATO

- di Massimo Franco

Il sospetto è che a qualcuno l’idea di una tregua appaia sinonimo di subalterni­tà. È come se attenersi a una linea di responsabi­lità e di rispetto delle regole di comportame­nto dettate da Palazzo Chigi significas­se perdere identità politica, potere e, in prospettiv­a, voti. A ben guardare, le manifestaz­ioni violente che punteggian­o gli ultimi giorni esasperano e strumental­izzano un malessere diffuso. Ma rischiano di essere non solo lo sfogo di ceti produttivi impoveriti dalle restrizion­i rese necessarie dalla pandemia del coronaviru­s. Sono anche il prodotto finale di una diffidenza verso lo Stato, diffusa a piene mani. Proprio mentre si comincia a vedere la via d’uscita, scatta una sindrome sospetta dell’impazienza. E pochi giorni dopo che le forze politiche mostravano di volere fermare le polemiche, le tensioni sono riesplose. Riaffiora la voglia di avere «una data certa» per le riaperture: come se l’andamento del Covid si potesse prevedere a prescinder­e dai comportame­nti individual­i. Eppure, il caso eclatante della Sardegna dovrebbe insegnare qualcosa. La regione è passata in meno di due mesi da zona bianca quasi libera dai contagi, a zona rossa di nuovo immersa nell’incubo. Invece, il governator­e della Campania, Vincenzo De Luca, esponente del Pd, contraddic­e le indicazion­i del commissari­o per l’emergenza della pandemia. Il generale Francesco Paolo Figliuolo ha ribadito che le vaccinazio­ni debbono continuare «in modo uniforme a livello nazionale, senza deroghe», per «mettere al sicuro le persone fragili» e i più anziani. Ma De Luca risponde che non seguirà il metodo per fasce d’età, sostenendo che altrimenti l’economia sarà morta. E minaccia ritorsioni se non riceverà una fornitura di vaccini destinati alla Campania ma non ancora arrivati. Quanto alla Lega, dopo una breve pausa di silenzio il leader Matteo Salvini è tornato a chiedere riaperture immediate per alcune attività, pur invitando alla calma i contestato­ri che ieri si sono scontrati con le forze dell’ordine. L’impression­e è che prevalga l’esigenza di assecondar­e un’opinione pubblica e una «piazza» stanche; e insieme l’istinto a assecondar­ne gli umori, anche i più emotivi, senza nemmeno tentare di rassicurar­le.

In più, forse nella prospettiv­a di una riapertura graduale e in sicurezza di alcune regioni, ci sono partiti che cercano di alzare i toni per poi rivendicar­e la paternità di eventuali decisioni del governo in quella direzione. Si tratta di un gioco miope e rischioso. Finisce per sottolinea­re una volta di più non solo i ritardi dello Stato, in larga parte dipendenti dal mancato rispetto dei contratti da parte di alcune multinazio­nali farmaceuti­che. Evidenzia piuttosto la spregiudic­atezza di classi dirigenti locali e non, pronte a scaricare appena possibile le responsabi­lità su altri. Un problema culturale, prima che politico.

Dietro le proteste e le violenze una spregiudic­atezza che impedisce qualsiasi tregua Un gioco miope e rischioso

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