LO SGUARDO LUNGO CHE CI SERVE
Solo pochi anni fa una manovra di bilancio che avesse generato un deficit dell’11% e un debito pubblico di quasi il 160% sarebbe stata impensabile. Ed impensabile sarebbe stata la dichiarazione del Commissario europeo all’economia e finanza sulla sospensione, almeno fino al 2022, delle regole europee riguardo ai conti pubblici. Certamente la crisi Covid ha cambiato il paradigma. Non solo con il Recovery Fund si sono superati alcuni vecchi tabù dell’Europa, ma sembra essersi affermata la convinzione — anche nei Paesi più restii ad aprire il portafoglio pubblico — che l’economia vada sostenuta con strumenti eccezionali. Il cambiamento di paradigma è quindi duplice: da un lato, una nuova persuasione dell’efficacia delle politiche di bilancio espansive per lo stimolo a Pil e occupazione e, dall’altro, la convinzione che in periodi di crescita negativa sia controproducente aderire a strette regole di bilancio come quelle previste dal patto di Stabilità europeo.
Negli Usa il cambiamento è ancora più radicale. L’Amministrazione Biden ha lanciato due pacchetti di spesa rivoluzionari: prima 2 trilioni di dollari di stimolo per sostenere il reddito e poi 3 trilioni di dollari per le infrastrutture. Soprattutto la seconda manovra indica che Biden sia convinto che il sostegno all’economia da parte dello Stato debba andare oltre misure temporanee anti Covid per sostenere una trasformazione che metta Pil e occupazione su una traiettoria di crescita strutturale più sostenuta, in un programma radicale di rigenerazione.
Nell’immediato
L’Italia deve essere in grado di spendere bene e nei tempi previsti i soldi del Recovery Fund. Errori non sono ammessi
Un nuovo New Deal sostenuto dalla Banca centrale che garantisce tassi bassi e annuncia una maggiore tolleranza a discostamenti dell’inflazione dall’obiettivo di medio periodo. Non tutti gli economisti sono convinti, ma l’esperimento è partito lo stesso, trainato dalla convinzione politica che sia meglio fare troppo che troppo poco.
In Europa siamo ben più prudenti, ma certamente l’orientamento a sostenere l’economia con politiche di bilancio espansive è condivisa da tutti i Paesi e tutti hanno seguito simili principi. Dal 2022 in poi, quando si spera saremo usciti dalla pandemia, sarà però inevitabile che si apra una discussione sulla opportunità di un consolidamento di bilancio e soprattutto sui suoi tempi. È ovvio che per l’Italia questa discussione è importante.
La nota del Mef, molto ben fatta e trasparente, indica uno scenario programmatico che vede una graduale diminuzione del deficit pubblico a partire dal 2022 accompagnato da una graduale riduzione del debito pubblico. Si prevede che per il 2024 il deficit sarà appena al di sopra di quel 3% previsto dalle regole europee e il debito diminuirà al 152,7%. Questo scenario dipende da una previsione piuttosto ottimista ma comunque credibile sull’andamento del Pil e dei tassi di interesse.
Ma anche con questo relativo ottimismo, i valori previsti dalle proiezioni del Mef sul rapporto debito-Pil non soddisfano le regole europee. D’altronde, questo è vero ormai da diversi anni. Con choc così ingenti al Pil come quello della crisi finanziaria e poi della pandemia, è inevitabile che il debito si accumuli e che il ritmo di consolidamento verso il 60% del Pil previsto dall’Europa sia diventato irrealistico per l’Italia come per altri Paesi dell’Unione. Così le regole — disattese — perdono credibilità e questo rende urgente rivederle.
Ma la revisione del Patto — anche la più radicale — non comporta disattenzione sui conti pubblici. La nostra visione deve essere di medio-lungo periodo con l’obiettivo di stabilizzare il debito (cioè far sì che non cresca in rapporto al Pil) e poi di una lenta discesa da spalmare negli anni, correlata a misure che sostengano la crescita strutturale (la crescita media nei prossimi 10-20 anni).
Infatti, anche se è molto probabile che il tasso di crescita dell’economia da qui ai prossimi cinque anni sarà più alto del tasso di rifinanziamento del debito e che questo ci permetterà di stabilizzarlo senza manovre eccessivamente dure, nel lungo periodo la situazione è assai più incerta. Non solo non si possono escludere nuovi rischi e nuove crisi, per esempio legati al cambiamento climatico, ma la crescita strutturale in Italia è anemica per via della bassa natalità e della bassa produttività. Anche contando su tassi stracciati garantiti dalla Bce, non si possono escludere nuove tensioni sul mercato del debito sovrano italiano nel futuro.
Per evitarlo è fondamentale avere una visione di lungo periodo che possa poi essere sostenuta da politiche condivise al di là delle brevi vite dei nostri governi. Nell’immediato è imperativo che l’Italia sia in grado di spendere bene e nei tempi previsti i soldi del Recovery Fund. Errori non sono ammessi. Questa deve essere la base per una trasformazione ambiziosa e coerente. Sostenibilità dei conti pubblici e la trasformazione economica, ambientale e sociale sono intimamente legati.
Ma dobbiamo anche prepararci a fare la nostra parte nella discussione europea non solo per riformare le regole fiscali, ma contribuendo al dibattito che inevitabilmente ripartirà in autunno sull’intera architettura dell’Unione. Questo include temi importanti a partire dall’opportunità di emissione di debito comune come strumento da usare anche nel futuro per finanziare i beni pubblici europei, cioé quelle politiche pubbliche che sono efficaci solo se fatte insieme. La trasformazione del nostro Paese dipende anche dal futuro dell’Europa.