«Malattie infettive, sì a un centro unico»
I primi cento giorni di Letizia Moratti in Regione Lombardia «Su Aria trovate gravi criticità. Sul piano vaccini siamo in linea»
Ivaccini. Gli anziani. Le riaperture. Da cento giorni Letizia Moratti cerca di tirar fuori la Regione Lombardia dalle zone basse dell’efficienza. Qualcosa si muove. «Abbiamo presentato al generale Figliuolo un piano per somministrare 140 mila dosi di vaccino al giorno», dice. E aggiunge una proposta: realizzare un Centro di coordinamento nazionale per la prevenzione delle malattie infettive.
Assessore alla Sanità e vicepresidente: le viene chiesto di riorganizzare un sistema, rafforzare la medicina territoriale, alleggerire la pressione sugli ospedali, dare risposte sulla cronicità. Si aspettava di trovare quello che ha trovato nel settore più importante e strategico della Regione?
«La situazione era come me l’aspettavo: molto difficile e complessa. Siamo calati dentro una guerra contro una pandemia che non dà tregua da più di un anno e si ripropone a ondate, mutando forma con le varianti».
La prima turbolenza del suo mandato è stata la vaccinazione. C’è stato un riallineamento con i piani nazionali?
«La Lombardia non si è mai discostata dal piano vaccinale nazionale e dalle priorità indicate. Siamo stati i primi a completare la prima dose agli operatori sanitari e agli ospiti delle residenze per anziani. Abbiamo somministrato quasi un milione di dosi agli over 80 e siamo al primo posto per copertura vaccinale di quelle persone così duramente colpite dal Covid in questi mesi».
In altre Regioni però sono già oltre i settantenni…
«Lunedì scorso è partita la vaccinazione per quella fascia di età. Contiamo di chiudere la somministrazione della prima dose entro due settimane. Ma era intuitivo che qui la vaccinazione di anziani e persone fragili comportasse più tempo: per loro non abbiamo guardato alle classifiche ma a mettere in sicurezza ospedali e Rsa e a proteggere le fasce d’età più in pericolo».
Il disguido legato alle mancate prenotazioni e al fallimentare sistema regionale Aria, però, c’è stato. E per tanti anziani l’attesa al buio è diventata un giudizio negativo sulla Regione.
«Ho avuto da subito molti dubbi su Aria, un sistema che non operava in cloud. Ma all’inizio ho voluto dare fiducia a una struttura regionale, pur facendo inserire clausole rescissorie chiare. Con le gravi criticità emerse ho deciso il cambiamento. L’affidamento a Poste italiane, senza costi, mi sta dando ragione».
C’è qualcosa che non rifarebbe di questi primi cento giorni?
«Ho gia compiuto molte scelte, resto convinta di quel che ho fatto. Persino della tanto criticata, ma certamente fraintesa e strumentalizzata frase sul Pil. Non ho mai pensato lontanamente di legare le vaccinazioni al reddito delle persone…».
Eppure molti l’hanno proprio pensato.
«La mia era una riflessione che voleva tener conto delle attività produttive, naturalmente avendo messo in sicurezza le categorie più fragili. Oggi vedo con piacere che quella riflessione ha trovato un’ampia eco e il tema della ripresa sociale ed economica, grazie alle vaccinazioni, è dibattuto ovunque».
Condivide quel che ha detto il premier Draghi: adesso bisogna pensare a vaccinare in fretta più gente possibile, poi penseremo al resto…
«Sì, lo condivido. La vaccinazione ci permetterà di far ripartire l’economia, di aprirci al mondo tornando ad essere una meta anche turistica com’era diventata Milano grazie all’Expo. Le vaccinazioni sono strategiche, sia per salvare vite umane ma anche per mettere le basi per progettare il domani».
Draghi ha anche parlato di «rischio ragionato» annunciando le riaperture dal 26 aprile. Non tutte le Regioni sembrano d’accordo…
«Io credo che sia arrivato il momento di ridare fiducia a un Paese stremato. Con le precauzioni del caso: mascherine, distanziamenti, rispetto delle regole in applicazione delle rinnovate linee guida. Quel che bisogna evitare è lo stop and go, riaprire e poi chiudere di nuovo».
Qual è dopo cento giorni la lezione della pandemia?
«Rafforzare la medicina sul territorio. La pandemia ha evidenziato la necessità delle cure primarie, della valorizzazione dei medici di medicina generale, la necessità di aggregazioni in cooperative e la creazione di ambulatori in cui varie figure specialistiche possano lavorare in sinergia e in diretto collegamento con gli ospedali».
Che posto avrà la sanità tra i motori della ripartenza?
«È un settore strategico. Bisogna investire nella salute delle persone e investire nella tutela dell’ambiente. È ormai evidente che salute delle persone e salute del pianeta sono una cosa sola. La Regione ha stilato un piano di investimenti di 4 miliardi di euro per i prossimi anni, in parte finanziamenti che arrivano dal Next Generation Eu».
La pandemia impone di rafforzare anche la prevenzione. Ci siamo trovati del tutto impreparati un anno fa…
«In Lombardia puntiamo a diventare punto avanzato di ricerca biomedica e anche di mettere a frutto il know how che dolorosamente ci siamo costruiti sulle malattie infettive. Nelle linee di programma c’è un Centro di coordinamento nazionale per la prevenzione delle malattie infettive. Un grande progetto, perché prevenire vuol dire anche avere un occhio attento ad aspetti come cambiamenti climatici, decadimento della biodiversità e della qualità dell’ambiente, al traffico degli animali che possono costituire i prodromi per zoonosi, spillover e catastrofiche pandemie, come quella che stiamo attraversando».
Una salute sola per tutti…
«Tengo molto a concretizzare in ambito sanitario il concetto di One Health, cioè un approccio che rispetto a un territorio fortemente urbanizzato e densamente abitato come quello lombardo, consideri la sostenibilità, i livelli di inquinamento, il deterioramento dei suoli dell’aria e delle acque come direttamente correlati alla salute delle persone».
La pandemia ci ha detto che la salute deve essere pubblica, ma in Lombardia pubblico e privato sono stati messi sullo stesso piano dalla riforma Formigoni. Il sistema pubblico ne è uscito penalizzato?
«La pandemia ci ha confermato che la salute pubblica è un bene collettivo, come prevede la Costituzione: spesso però si confonde questo concetto con l’erogatore del servizio, che può essere pubblico o accreditato. Al cittadino bisogna offrire le cure migliori. Se guardiamo alle classifiche degli
«One Health»
Investire sull’ambiente, è chiaro che la salute delle persone e del pianeta sono una cosa sola
ospedali, in cima ci sono quelli lombardi, alcuni pubblici, come il Papa Giovanni XXIII di Bergamo e altri accreditati. Considero la scelta un valore, ma la Regione deve governare e controllare di più».
Le sembra di scontare qualche pregiudizio a proposito di Milano e della Lombardia? Erano il riferimento del Paese, la locomotiva.
«Certamente un forte pregiudizio nei confronti della Lombardia c’è stato. Abbiamo scontato il fatto di essere da subito la regione focolaio della pandemia in Italia e pagato un prezzo altissimo. Nella prima fase del contagio la Lombardia ha registrato la metà dei decessi del Paese: 16.112 rispetto al resto nazionale, 17.303. Poi però la sanità regionale ha via via reagito e con la seconda ondata le morti si sono dimezzate, attestandosi a un terzo di quelle complessive italiane: 10.962 contro le 31.733. Con la terza ondata la Lombardia è scesa al 12,5 per cento dei decessi nazionali».
I numeri lasciano sempre un senso di gelo…
«È vero. Non era questa la mia intenzione. Dietro ci sono le storie e le vite di migliaia di persone, familiari, amici, conoscenti. Un dramma umano che ferisce e coinvolge tutti. Fino a quando avremo anche solo una persona morta, non potremo dirci sereni».