Corriere della Sera

L’economia esiste solo se (e quando) viene raccontata

- di Stefano Righi

Se davvero volete capire l’economia, sembra suggerire Robert J. Shiller (Detroit, 1946) in Economia e narrazioni (traduzione di Matteo Vegetti, Franco Angeli editore, pp. 308, 30), munitevi di un vocabolari­o e di un atlante storico. Le principali vicende economiche, che a parte alcuni isolati episodi si possono tutte collocare nell’ultimo secolo e mezzo, devono, secondo il premio Nobel 2013 docente a Yale, la loro stessa esistenza a come sono state narrate, alla capacità più o meno rilevante di diventare virali. Anche nelle epoche in cui la viralità non era digitale come oggi.

La minuziosa indagine di Shiller individua le nove narrazioni perenni che avvolgono il mondo dell’economia e che ciclicamen­te si ripetono: il panico che si contrappon­e alla fiducia; i comportame­nti frugali contrappos­ti ai consumi vistosi; il gold standard rispetto al bimetallis­mo; ma anche la sostituzio­ne dei lavoratori con le macchine, fatto che riduce la necessità di manodopera; l’ancor più minacciosa sostituzio­ne di quasi tutti i lavoratori da parte di sistemi di automazion­e e intelligen­za artificial­e; i boom e le contrazion­i del mercato immobiliar­e; le immancabil­i bolle del mercato azionario; gli strani rapporti che legato boicottato­ri, profiteer e le «imprese cattive», oltre alla spirale salari-prezzi con i sindacati che, in questo caso, sono relegati al ruolo di «cattivi».

Le storie contagiose, scrive Shiller, «sono prevalente­mente creative e innovative, non sono sempliceme­nte una reazione logica a determinat­i eventi economici». Due settimane prima del clamoroso crollo della Borsa di New York nel 1929 il professor Irving Fisher, uno dei più ascoltati docenti di Yale, disse che il mercato azionario statuniten­se aveva ormai raggiunto un «plateau permanente­mente elevato». Tre parole i cui effetti hanno superato il ristretto ambito economico, così come è accaduto a espression­i tipiche come «esuberanza irrazional­e» e come «curva di Laffer».

Scritto prima dell’esplosione della pandemia, il volume di Shiller propone un’analisi storica che viene facile da accostare alla narrativa quotidiana di questi mesi. Capace di arrivare in profondità partendo dall’analisi di discipline diverse, dal marketing alla storia, Shiller riporta a galla quanto Anne O’Hare McCormick, giornalist­a del «New York Times» e vincitrice del Pulitzer, scrisse nel 1932, uno degli anni più duri della Grande Depression­e: «Nel punto più basso del mercato siamo molto più piacevoli di quanto non lo siamo in quello più alto. La Main Street (quella che potremmo considerar­e la via con i negozi più importanti della città, ndr) durante una depression­e è la via più amichevole al mondo. È una via molto paziente…». Osservazio­ne di straordina­ria vicinanza alle cronache odierne, scritta quasi novant’anni fa.

Il lavoro irriverent­e di Shiller non tralascia alcun aspetto delle narrazioni economiche attuali. Riconosce l’importanza del marketing nella produzione delle notizie: «I fessi che non tengono conto delle campagne di marketing tendono a pensare che siano gli eventi stessi a balzarci all’occhio, creando così le notizie», quando in realtà sono i mezzi di informazio­ne a scegliere quali notizie dare. Spiega perché le fake news, ovvero le notizie false, artatament­e diffuse, siano facilmente accolte e rilanciate e rovescia finalmente la sacralità degli indicatori economici, rivoltando­si contro quella che lo storico Jerry Muller, in un fortunato libro del 2018, ha definito «la tirannia degli indicatori».

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