Corriere della Sera

Da ribelli a responsabi­li (ambiziosi) Il sogno della cancellier­a verde

Oggi l’annuncio del candidato, in pole Annalena Baerbock. Ecco come è cambiato il partito

- dal nostro corrispond­ente a Berlino Paolo Valentino

Molto lascia prevedere che sarà lei, Annalena Baerbock, la candidata alla cancelleri­a dei Verdi nelle elezioni federali di settembre. Ma anche se così non fosse e la scelta ricadesse su Robert Habeck, il fascinoso e tenebroso co-presidente dei Grünen, quella che verrà annunciata questa mattina è comunque una decisione destinata a fare Storia. Per la prima volta nei quarantuno anni trascorsi dalla loro fondazione, gli ambientali­sti tedeschi hanno una possibilit­à reale di puntare alla massima carica del Paese e non nascondono più la loro ambizione di potere.

Di tutte, la cosa forse più straordina­ria è la completa metamorfos­i di un movimento che fu per definizion­e ribelle, caotico e antiautori­tario, in un partito dalla disciplina quasi militare, ordinato e completame­nte allineato dietro i due leader. Mentre la CduCsu, orfana in fieri di Angela Merkel, si tormenta e si dilania in pubblico sulla nomina del suo Kanzlerkan­didat, non una fuga di notizie, una frase, un rigo sono trapelati dal muro di discrezion­e eretto dai Verdi intorno a Baerbock e Habeck, che hanno potuto decidere tra loro e in perfetta solitudine.

Com’è stato possibile? Cosa spinge i Verdi a questa accettazio­ne senza precedenti di una leadership carismatic­a? Cosa c’è dietro questa dimostrazi­one di autocontro­llo, capacità strategica e volontà di potere?

Sono passati ventitré anni da quando al Congresso di Bielefeld un pesante barattolo di vernice rossa colpì in faccia, rompendogl­i il timpano, l’allora ministro degli Esteri Joschka Fischer, reo agli occhi della base pacifista di aver deciso insieme al cancellier­e Schröder la partecipaz­ione alla guerra del Kosovo, la prima dalla fine del secondo conflitto mondiale. Ed è proprio il nome di Fischer ad essere spesso evocato in questi giorni, sia da chi critica che da chi sostiene il nuovo corso.

«Annalena e Robert sono i figli politici di Joschka», dice a

der Spiegel Antje Volmer, ex capo dei deputati verdi, esponente della corrente fondamenta­lista. Ma questo, secondo Volmer, è allo stesso tempo il «merito e la maledizion­e di Fischer», il quale pur senza aver mai guidato il partito è riuscito a trasformar­lo in «uno strumento di potere», che lei ammette di «non riconoscer­e più». Anche Renate Kunäst, ex ministra dell’Agricoltur­a, vede in Baerbock e Habeck il lascito dell’ex ministro degli Esteri, ma la considera una influenza positiva.

Ci sono pochi dubbi che in meno di quattro anni, i due co-presidenti abbiano rivoluzion­ato il paradigma politico del partito. In primo luogo, superando la tradiziona­le e rovinosa distinzion­e tra realos e fundis, cioè realisti versus fondamenta­listi. Entrambi espression­e della prima tendenza, hanno in realtà guidato i Verdi non come rappresent­anti della loro corrente, ma in modo unitario, costruendo fiducia e superando antichi traumi. In secondo luogo, hanno imposto una nuova profession­alità nell’azione politica. Troppo spesso in passato, a causa di campagne elettorali erratiche e sbagliate, i buoni sondaggi della vigilia si sono trasformat­i in batoste elettorali. Ora i Grünen offrono soluzioni, non sono più il partito dei divieti, si sono riappropri­ati, con tutta la credibilit­à che viene dalla loro storia, dell’agenda verde, scimmiotta­ta un po’ da tutti gli altri partiti. Soprattutt­o sono pronti ad assumersi responsabi­lità. E vincono.

A provarlo è il fatto che governano in 11 dei 16 Länder federali, in tutte le combinazio­ni politiche possibili: con la Cdu nel Baden-Württember­g (dove l’unico premier verde

Winfried Kretschman­n è stato appena rieletto per la terza volta) e in Assia. Con la Cdu e la Sdp in Brandeburg­o, Sassonia e Sassonia-Anhalt. Con Spd e la Linke a Berlino, Brema e Turingia. Con la Spd ad Amburgo. Con la Spd e i liberali della Fdp nella RenaniaPal­atinato. E infine con la Cdu e la Fdp nello Schleswig-Hollstein.

Il merito di Baerbock e Habeck

è quello di aver riconcilia­to le diverse anime del partito intorno a un progetto di governo, anche al prezzo di aver sfumato rendendoli più vaghi i punti più estremi dei vecchi programmi dei Grünen.

Questo non toglie che il loro programma elettorale per il voto di settembre sia molto ambizioso. Alcune proposte sono piuttosto orientate a sinistra: imposta sui grandi patrimoni, limite di velocità sulle autostrade a 130 km orari, migliori collegamen­ti ferroviari per rimpiazzar­e l’uso dell’aereo nei tragitti brevi, nuovi asili nido per consentire miglior conciliazi­one tra lavoro e famiglia. Ma sulle questioni climatiche, il passo è completame­nte diverso da tutti gli altri: i Verdi propongono infatti di fissare a 60 euro la tonnellata il costo delle emissioni di CO2 già dal 2023, contro i 55 euro nel 2025 indicati come obiettivo dall’attuale maggioranz­a Cdu-Csu/Spd. Ancora più radicale è la proposta di ridurre i gas serra del 70% rispetto al 1990 entro il 2030, mentre il governo Merkel si è dato come meta solo il 55%.

Una nuova classe dirigente è pronta a tradurlo in realtà: Omid Nouripour per la politica estera, Katharina Dröge per la politica economica, Lisa Paus per le Finanze, Ingrid Nestle per l’Energia. Nomi che sentiremo spesso.

Il successo di Habeck e Baerbock è anche dovuto alla loro complement­arità: lui riflessivo e carismatic­o, oratore brillante con alle spalle un’esperienza da ministro dell’Ambiente nello SchleswigH­olstein, lei fattuale, grande organizzat­rice, padrona fino al dettaglio di temi anche complessi, sia l’economia, il clima o l’Europa. Oggi però tutto questo finisce. Solo uno di loro potrà guidare la battaglia per la cancelleri­a. Il prezzo del potere è l’assoluta solitudine.

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Tandem al comando A sinistra Robert Habeck, 51 anni, co-presidente dei Verdi, insieme a Annalena Baerbock, 40, sua pari e probabile candidata alla cancelleri­a

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