Corriere della Sera

L’ultima battaglia per l’hotel maledetto

LA STORIA A NEW YORK Da Bogart a Kerouac, al «Chelsea» è successo di tutto. Ora i pochi residenti resistono ai piani per renderlo un luogo di lusso

- Di Matteo Persivale

Patti Smith e Robert Mapplethor­pe, la poetessa e il fotografo, belli e dannati, che vegliano su New York dalla scala antincendi­o di ferro battuto arrugginit­o come due angeli in maglietta lisa e jeans stracciati. «La camera 546 basta da sola a farti star male, la camera 115 con le regine del sadomaso», Nico che canta Chelsea Girls nell’albergo che l’ha ispirata, dedica al veleno di Lou Reed e Sterling Morrison. Tennessee Williams con i comodini pieni di tranquilla­nti, Arthur C. Clarke e 2001 Odissea nello spazio su una macchina per scrivere a noleggio e porta di corsa le pagine a Stanley Kubrick, sull’Upper East Side, il futuro papà di Arancia Meccanica non amava i luoghi malfamati. Nancy Spungen ragazza di Sid Vicious morta ammazzata nel bagno della camera 100, martire del punk. Le notti senza fine di Iggy Pop, camera 126, la stessa di Bette Davis molti decenni prima. Humphrey Bogart già ubriaco al momento del check-in, che continua a bere in camera finché svenimento non sopraggiun­ga, rinviene la mattina successiva lasciando la camera sfasciata, mobili rotti, vomito ovunque. Il giovane Jack Kerouac bellissimo e non ancora sfregiato dall’alcol e dalla tristezza, ciuffo nerissimo alla Elvis accuratame­nte bagnato e accuratame­nte pettinato, che sorride davanti alla macchina fotografic­a dell’amico Allen Ginsberg. Janis Joplin sorridente nell’androne caotico e allegro, ignara della sorte avversa che di lì a poco la farà finire malissimo, come tante altre ospiti, Edie Sedgwick musa piromane di Warhol che viveva nella camera 105, quando non la cacciavano i pompieri per spegnere uno dei numerosi incendi che le piaceva appiccare.

Tutti al Chelsea Hotel, dove

Descrizion­e d’autore

Il Chelsea era un caos spaventoso e ottimista, e allo stesso tempo dava la sensazione di una famiglia enorme, antiquata, protettiva

Arthur Miller drammaturg­o

vissero — e a volte morirono — i grandi della letteratur­a, del cinema, del teatro, del rock. Il palazzo ottocentes­co disegnato da un francese un po’ matto, casa-museo del sogno di una Bohème impossibil­e è speciale perché di solito — «di solito» non vale al 222 West della 23esima strada, New York, New York — sono gli alberghi di lusso a diventare famosi ma dall’inizio il Chelsea è stato un’altra cosa. Una comune. Un rifugio per artisti, dove i gay non venivano discrimina­ti nei decenni della semiclande­stinità pre-Stonewall (1969), dove le donne maltrattat­e in fuga dai mariti violenti trovavano privacy e, finalmente, pace.

Il Chelsea era secondo un drammaturg­o famoso che lì si rifugiò dopo la fine del matrimonio con un’attrice, una certa Marilyn Monroe, «Un caos spaventoso e ottimista, e allo stesso tempo la sensazione di una famiglia enorme, antiquata, protettiva», Arthur Miller scripsit.

Peccato che da un decennio questa specie di comune sia chiusa al pubblico: il restauro senza fine, raccontato dal New

York Times, è l’ultimo atto di una storia un po’ deprimente, i vecchi proprietar­i che muoiono, vendono, e poi le cause civili e infine il subentro di un grande gruppo alberghier­o che vorrebbe liberarsi dei 50 residenti «long-term», i superstiti che non sono però sfrattabil­i causa bizantine regole delle locazioni nella città con gli affitti più cari del mondo occidental­e.

Ecco così accuse reciproche, fotografie di lavori senza fine che provocano allagament­i, rumore, polvere, rischio amianto e altro. Traslocare? Improponib­ile perché chi vive al Chelsea oggi pagando da mille a quattromil­a dollari al mese non troverebbe nulla a New York di lontanamen­te paragonabi­le.

Soluzione? I lavori finiranno presto, e a pandemia superata, a fine anno, è prevista la grande inaugurazi­one, il Chelsea polveroso e incasinato (e francament­e non pulitissim­o) dei tempi che furono si reincarner­à in un hotel di lusso (prezzi a partire da seicento dollari a notte) con un nome speciale e un passato glorioso e un futuro costoso, il bar affollato e i cocktail da 35 dollari, le serate a inviti, gli eventi «corporate», influencer e Instagram, la morte della Bohème.

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Marzo 1969 La cantante Janis Joplin di fronte all’ingresso del Chelsea Hotel a New York
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