Occasioni perdute per tacere
La cosa più sensata sarebbe stata tacere. E invece no, ha prevalso il rancore, ha vinto l’idea — purtroppo non rara — che lei se la sia cercata. Anzi, di più: che lei fosse l’anima nera della coppia. Lei si chiamava Noemi Durini, quasi sedicenne, è finita sepolta sotto un cumulo di sassi (nel Salento) mentre ancora respirava, dopo un gran quantità di botte e varie coltellate in testa. Ma «era tutt’altro che una brava ragazza» ha tenuto a precisare il padre del fidanzato diciassettenne che l’ha uccisa. Ripeto: il padre dell’assassino. Nelle trasmissioni televisive che gli hanno offerto il palcoscenico dopo l’omicidio, lui — e a volte anche sua moglie — sono riusciti a dire che Noemi, «era una ragazza notturna, altro che solare...Si è infilata in casa di notte ...aveva dei problemi...era gelosa. Si è chiusa nell’armadio e poi è andata a letto con mio figlio, ma la ragazzina, anche se di un anno più piccola, aveva un bagaglio di esperienza molto più grande». Eccerto. Come no...sarà stato il «bagaglio di esperienza» ad armare la mano del figlio, non il ragazzo che ha scelto la via della violenza. E poi, diciamocelo chiaro, a che alluderà mai quell’«esperienza» se non al sesso? Il sottinteso è visibile: lui, povero ingenuo, è stato soggiogato, manipolato. Lucio Marzo, l’assassino, fu arrestato subito dopo i fatti, a settembre del 2017. E fra quella data e giugno del 2019, mamma e papà (Biagio, 65 anni, e Rocchetta Rizzelli, 56) hanno difeso il suo buon nome — diciamo così — avvelenando senza ritegno i pozzi della memoria di Noemi. Qualche esempio: «Era una ragazza cresciuta allo stato brado», «era vittima delle sue amicizie e di chi non l’ha controllata». O ancora: «Siamo stati allertati dal professore della scuola perché Noemi aveva picchiato Lucio... si accompagnava con delinquenti di trenta quarant’anni, una ragazzina, e non voglio andare oltre... addirittura aveva dato i soldi ad un certo tipo per comprare una pistola e per spararci, incitava mio figlio perché ci accoppasse tutti». La madre di Lucio si è detta certa che Noemi fosse la responsabile dei tre trattamenti sanitari obbligatori subiti dal figlio. Solo fango, ha stabilito tre giorni fa il tribunale di Lecce che ha condannato i due per diffamazione aggravata (lui a un anno e lei a sei mesi di reclusione, pena sospesa). Certo, la cosa più sensata sarebbe stata tacere...