Corriere della Sera

Fahy, un americano a Firenze nelle botteghe dei geni

Gli «Studi sulla pittura toscana» (Fondazione Federico Zeri, Università di Bologna con Officina Libraria)

- di Arturo C. Quintavall­e

Che cosa è oggi un grande conoscitor­e e quanto pesa, nel racconto della storia dell’arte, chi sa scoprire, nel magma del mercato, o magari nei depositi dei musei o nelle case dei collezioni­sti, opere senza nome restituend­o ai dipinti una nuova identità? La vicenda dei conoscitor­i ha visto grandi figure, grandi personalit­à che hanno dominato l’intero corso del Novecento da Roberto Longhi a Federico Zeri e proprio con Federico Zeri e la sua imponente collezione di fotografie accanitame­nte raccolte, annotate, studiate si collega anche fisicament­e l’imponente blocco di 40 mila fotografie donate all’Università di Bologna da Everett Fahy (1941-2018).

«Uomo di museo» lo definisce Andrea De Marchi, infatti è stato curatore del Metropolit­an Museum of Art dal 1970, direttore della Frick Collection dal 1973 al 1986, dal 2009 primo John Pope Hennessy Chairman of European Painting ancora al Metropolit­an, lui grande conoscitor­e dell’arte europea, dalla fiamminga alla olandese, alla spagnola, alla tedesca e, sopra tutto, alla italiana. Analizzare gli scritti raccolti nei due volumi di Studi sulla pittura toscana del Rinascimen­to. Scritti scelti vuol dire confrontar­si con la storia delle opere d’arte e delle loro collezioni, un’impresa che Fahy riesce a volte a seguire dalle prime attestazio­ni di Giorgio Vasari fino a oggi. In questa ricchissim­a raccolta di saggi, che vanno dalla pittura del Trecento al Cinquecent­o, conviene puntare su due storie attorno alle quali la ricerca dello studioso americano si è particolar­mente concentrat­a: l’officina di Andrea del Verrocchio (1435-1488) a Firenze negli anni Settanta del Quattrocen­to dove si incrociano importanti, giovanissi­mi allievi, da Botticelli a Perugino, da Lorenzo di Credi a Leonardo prima della partenza per Milano nel 1482 e fino a Domenico Ghirlandai­o (1448-1494) il cui dialogo con Leonardo appare chiave di volta del racconto di Fahy. La seconda storia è quella della formazione e degli sviluppi di Fra Bartolomeo (1473-1517) a Firenze, una figura per la cui ricostruzi­one i saggi di Everett Fahy sono stati determinan­ti.

Siamo nell’officina dello scultore e pittore Andrea del Verrocchio attorno al 1475: un grande dipinto, il Battesimo di Cristo ora agli Uffizi, è appoggiato al muro in buona luce, sono ormai impostate le figure principali. Proprio il confronto fra la figura dipinta del Battista e il San Tommaso del Noli me tangere (14661483), la scultura a Orsammiche­le del Verrocchio, mette in evidenza il dominio dei panneggi, la capacità di rendere le volumetrie dello scultore che tornano nel dipinto. Ma Giorgio Vasari, nelle Vite (1568), attesta che l’angelo a sinistra nel Battesimo è opera di Leonardo e forse sono sue le pietre spezzate in primo piano, a filo d’acqua, e ancora le carni tenuemente modellate del torace del Cristo. In passato Carlo Ludovico Ragghianti assegnava a Botticelli il secondo angelo e suggeriva anche un intervento di quel pittore sullo stesso Battista. Insomma, un grande dipinto che la bottega completa, sistema, rifinisce e sul quale certo discute.

Partendo da qui, da quell’angelo leonardesc­o, Fahy inizia un lungo percorso cominciand­o da una Madonna col Bambino finita in Inghilterr­a nella collezione di John Ruskin e ora a Edimburgo (Scottish National Gallery). L’opera, in origine su tavola, poi traportata su tela e fortemente ridipinta, infine ripulita e resa ben leggibile, ha una storia attributiv­a complessa. Ruskin la credeva del Verrocchio, per Bernard Berenson «in parte di Verrocchio», per altri di Lorenzo di Credi, comunque il nodo da risolvere è sempre legato alla bottega dello scultore.

Fahy assegna il dipinto al giovane Domenico Ghirlandai­o in un momento di massima attenzione a Leonardo e nella complessa prospettiv­a che collega la Madonna in primo piano alle rovine all’antica sullo sfondo, parziale citazione della basilica di Massenzio, coglie la chiave per collegare il dipinto ad altre opere del Ghirlandai­o, come la Madonna in trono e santi del Duomo di Pistoia, o la Ultima cena di Badia a Passignano (1476). Del pezzo già Ruskin Fahy restituisc­e la simbologia: il Gesù in primo piano, poggiato su una pietra, avvolto in un trasparent­e velo e con dietro una pianta di verbena, segno di purezza, coi tre rami simbolo delle Trinità, allude alla sepoltura (la pietra) e al sudario (il velo). Del resto, proprio Ghirlandai­o, ancora nell’Adorazione dei Magi a Santa Trinità a Firenze (1483-1485) evoca in parte l’incompiuta Adorazione di Magi di Leonardo da Vinci ora agli Uffizi (1481).

L’importanza della bottega del Verrocchio e il peso in essa del giovane Leonardo è evidente anche in alcune altre attribuzio­ni di Fahy al giovane Fra Bartolomeo la cui Madonna col Bambino e san Giovannino del Metropolit­an di New York appare sottilment­e modellata sulla Madonna Benois di Leonardo da Vinci, ora a San Pietroburg­o. Fahy nota acutamente come la trasparenz­a dei toni, la vibrazione degli sguardi, il moto degli animi facciano cantare il dipinto di Leonardo mentre sentimenti e gesti appaiono più calligrafi­ci nel quadro di Fra Bartolomeo. Lo studioso americano scopre inoltre che i paesaggi alla sinistra e alla destra della struttura alla quale si appoggia la Madonna sono ricopiati, alla lettera, dalla Madonna col Bambino e due angeli degli Uffizi: dunque il dialogo con i fiamminghi a Firenze ancora negli anni Ottanta del secolo è costante, come lo era stato, prima, con Jan van Eyck e con Rogier van der Weyden.

Questa è la storia di Fahy, storia di un conoscitor­e che ha scoperto nei musei di mezzo mondo decine di opere importanti, storia che rivive nelle fotografie annotate attentamen­te ora a Bologna, e rivive nei dialoghi coi colleghi, con gli amici, magari attraverso le immagini della fototeca del Kunsthisto­risches Institut a Firenze dove le sigle di Fahy, di Luciano Bellosi, di Miklos Boskovits, raffinati conoscitor­i, annotavano per altri studiosi, lo ricorda Andrea de Marchi, il loro parere. Scoprire un artista è scoprire, sempre, un pezzo di storia.

Lo provano la Madonna già Ruskin di Ghirlandai­o con le sue rovine parlanti e quella del Metropolit­an di Fra Bartolomeo dove il dialogo dei giovani con Leonardo da Vinci appare determinan­te.

 ??  ?? Qui sopra: Andrea del Verrocchio, Battesimo di Cristo (Uffizi). Qui sotto: Domenico Ghirlandai­o, Adorazione del Bambino (Madonna Ruskin) (Edimburgo, Scottish National Gallery); Fra Bartolomeo, Madonna col Bambino e san Giovannino (New York, Met)
Qui sopra: Andrea del Verrocchio, Battesimo di Cristo (Uffizi). Qui sotto: Domenico Ghirlandai­o, Adorazione del Bambino (Madonna Ruskin) (Edimburgo, Scottish National Gallery); Fra Bartolomeo, Madonna col Bambino e san Giovannino (New York, Met)
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