Perché è così moderno lo spirito del re di Itaca
Una lezione antica: senza il rischio non c’è vita
Partenza, andata e ritorno. Non è questo l’archetipo di ogni mito? Vi è un’origine, un viaggio ricco di esperienze, il ritorno a casa. Lo possiamo dire con parole insieme più povere e più vere: nascita, vita e morte. Per diventare qualcuno o qualcosa o, più modestamente, per essere anche solo noi stessi, non possiamo fare altro che metterci in cammino: «navigare». Come recitano i versi della lirica Itaca, scritta nel 1911, di Kostantinos Kavafis: «Quando ti metterai in viaggio per Itaca/ devi augurarti che la strada sia lunga/ fertile in avventure e in esperienze».
La strada per Itaca non è ancora lunga? È come se fossimo sempre in viaggio verso la patria — «petrosa» o meno che sia, per dirlo con l’aggettivo di Foscolo — che sappiamo esserci, che sappiamo attenderci, verso la quale andiamo e tendiamo ma, sì, certo, con calma, perché «il paradiso può attendere». Proprio come avviene con Odisseo, Ulisse per i Latini, che prima di rimettere piede nella sua casa dovrà passare attraverso mille e un’avventura e dar prova della sua proverbiale astuzia. Ecco perché Ulisse è il primo personaggio della letteratura occidentale e il primo uomo moderno: lo sentiamo vicino alla nostra esperienza del mondo e alla condizione umana.
I miti greci son fatti così: ci parlano di noi com’eravamo ieri, come siamo oggi, come saremo domani. Semplicemente perché dentro ogni mito c’è uno spicchio della nostra anima: la gelosia di Medea,
l’odio di Clitemnestra, la passione distruttiva di Fedra, i rimorsi di Oreste. «Non esiste emozione umana — dice Giulio Guidorizzi introducendo la collana «Grandi Miti Greci» con il primo volume Ulisse, a cura di Simone Beta, in edicola domani — di cui il mito greco non parli attraverso i suoi personaggi».
È come se quelle passioni si fossero riversate e rivelate nei miti e ora i miti le rievocassero nella vita del nostro animo, come se facessero vibrare le corde della lira. Se hanno attraversato tutto il mondo occidentale, in lungo e in largo, nella geografia e nella storia, per giungere fino a noi attraverso Roma, Gerusalemme e il Rinascimento, allora i miti sono davvero una sorta di stanza in cui si custodisce il tesoro dell’umanità. Con una particolarità di non poco conto: il tesoro è inesauribile perché ogni epoca, ogni autore, ogni lettore, ogni sofferenza vi può vedere qualcosa che è sfuggito a tutti gli altri. E così continuare ad arricchire il tesoro «mitico».
Chi è davvero Ulisse? Difficile dirlo. Tutti e Nessuno, proprio come dirà lui stesso a Polifemo per nascondergli la propria identità rivelandogliela. Omero, quando lo descrive fisicamente, ce lo rende piccolo di statura ma dalle spalle larghe. Dunque, niente di eccezionale. Ma potrebbe già essere un travestimento. Uno dei tanti: mendicante, naufrago, esploratore, guerriero, amante, marinaio, ingannatore. Quindi, umano, troppo umano. A Calipso, bella più del sole, dice: «Lo so anch’io che a tuo confronto Penelope non vale niente per aspetto e grandezza, perché è mortale e tu sei immortale e non conosci vecchiezza, ma anche così invoco ogni giorno di tornarmene a casa». Perché? Perché presso gli dèi non c’è storia e non c’è vita ma, forse, quella felicità che se esistesse di per sé renderebbe bianche, come diceva bene Hegel, le pagine della storia.
Così Ulisse, proprio con il volere degli dèi, può lasciare la ninfa e riprendere «l’alto mare aperto» viaggiando verso la patria. Quella patria che chiama e verso la quale si va, ma che in realtà è sempre con Ulisse, nel suo navigare, visitare, amare, sostare, conoscere e ripartire ancora una volta per «l’alto mare aperto».
Ulisse sa che se non c’è il rischio non c’è la vita e senza vita di avventure, di fede e di passione non è possibile raccontare la storia umana, che esiste proprio tra le avventure, nell’acqua tra le terre e sotto il cielo, come il mar Mediterraneo. Ulisse così è polymetis ossia «l’uomo dalle molte astuzie» ed è polytropos ossia «l’uomo dalle molte forme», che sa recitare tante parti restando sé stesso perché, pur vivendo le passioni, non si muove sotto l’impulso delle emozioni ma agisce con la ragione secondo kairos, ossia cogliendo il momento opportuno. Non è costui un nostro compagno di viaggio? Come se ci fossimo calati ora dal cavallo di Troia o stessimo navigando tra Leucade, Cefalonia e Zacinto, passando davanti alla «petrosa Itaca».
Un itinerario che vede il protagonista adoperarsi per ritornare nella sua patria passando attraverso infinite avventure
Il talento
Uomo astuto, dotato di grande versatilità, sa recitare molte parti restando sé stesso