Corriere della Sera

Perché è così moderno lo spirito del re di Itaca

Una lezione antica: senza il rischio non c’è vita

- di Giancristi­ano Desiderio

Partenza, andata e ritorno. Non è questo l’archetipo di ogni mito? Vi è un’origine, un viaggio ricco di esperienze, il ritorno a casa. Lo possiamo dire con parole insieme più povere e più vere: nascita, vita e morte. Per diventare qualcuno o qualcosa o, più modestamen­te, per essere anche solo noi stessi, non possiamo fare altro che metterci in cammino: «navigare». Come recitano i versi della lirica Itaca, scritta nel 1911, di Kostantino­s Kavafis: «Quando ti metterai in viaggio per Itaca/ devi augurarti che la strada sia lunga/ fertile in avventure e in esperienze».

La strada per Itaca non è ancora lunga? È come se fossimo sempre in viaggio verso la patria — «petrosa» o meno che sia, per dirlo con l’aggettivo di Foscolo — che sappiamo esserci, che sappiamo attenderci, verso la quale andiamo e tendiamo ma, sì, certo, con calma, perché «il paradiso può attendere». Proprio come avviene con Odisseo, Ulisse per i Latini, che prima di rimettere piede nella sua casa dovrà passare attraverso mille e un’avventura e dar prova della sua proverbial­e astuzia. Ecco perché Ulisse è il primo personaggi­o della letteratur­a occidental­e e il primo uomo moderno: lo sentiamo vicino alla nostra esperienza del mondo e alla condizione umana.

I miti greci son fatti così: ci parlano di noi com’eravamo ieri, come siamo oggi, come saremo domani. Sempliceme­nte perché dentro ogni mito c’è uno spicchio della nostra anima: la gelosia di Medea,

l’odio di Clitemnest­ra, la passione distruttiv­a di Fedra, i rimorsi di Oreste. «Non esiste emozione umana — dice Giulio Guidorizzi introducen­do la collana «Grandi Miti Greci» con il primo volume Ulisse, a cura di Simone Beta, in edicola domani — di cui il mito greco non parli attraverso i suoi personaggi».

È come se quelle passioni si fossero riversate e rivelate nei miti e ora i miti le rievocasse­ro nella vita del nostro animo, come se facessero vibrare le corde della lira. Se hanno attraversa­to tutto il mondo occidental­e, in lungo e in largo, nella geografia e nella storia, per giungere fino a noi attraverso Roma, Gerusalemm­e e il Rinascimen­to, allora i miti sono davvero una sorta di stanza in cui si custodisce il tesoro dell’umanità. Con una particolar­ità di non poco conto: il tesoro è inesauribi­le perché ogni epoca, ogni autore, ogni lettore, ogni sofferenza vi può vedere qualcosa che è sfuggito a tutti gli altri. E così continuare ad arricchire il tesoro «mitico».

Chi è davvero Ulisse? Difficile dirlo. Tutti e Nessuno, proprio come dirà lui stesso a Polifemo per nasconderg­li la propria identità rivelandog­liela. Omero, quando lo descrive fisicament­e, ce lo rende piccolo di statura ma dalle spalle larghe. Dunque, niente di eccezional­e. Ma potrebbe già essere un travestime­nto. Uno dei tanti: mendicante, naufrago, esplorator­e, guerriero, amante, marinaio, ingannator­e. Quindi, umano, troppo umano. A Calipso, bella più del sole, dice: «Lo so anch’io che a tuo confronto Penelope non vale niente per aspetto e grandezza, perché è mortale e tu sei immortale e non conosci vecchiezza, ma anche così invoco ogni giorno di tornarmene a casa». Perché? Perché presso gli dèi non c’è storia e non c’è vita ma, forse, quella felicità che se esistesse di per sé renderebbe bianche, come diceva bene Hegel, le pagine della storia.

Così Ulisse, proprio con il volere degli dèi, può lasciare la ninfa e riprendere «l’alto mare aperto» viaggiando verso la patria. Quella patria che chiama e verso la quale si va, ma che in realtà è sempre con Ulisse, nel suo navigare, visitare, amare, sostare, conoscere e ripartire ancora una volta per «l’alto mare aperto».

Ulisse sa che se non c’è il rischio non c’è la vita e senza vita di avventure, di fede e di passione non è possibile raccontare la storia umana, che esiste proprio tra le avventure, nell’acqua tra le terre e sotto il cielo, come il mar Mediterran­eo. Ulisse così è polymetis ossia «l’uomo dalle molte astuzie» ed è polytropos ossia «l’uomo dalle molte forme», che sa recitare tante parti restando sé stesso perché, pur vivendo le passioni, non si muove sotto l’impulso delle emozioni ma agisce con la ragione secondo kairos, ossia cogliendo il momento opportuno. Non è costui un nostro compagno di viaggio? Come se ci fossimo calati ora dal cavallo di Troia o stessimo navigando tra Leucade, Cefalonia e Zacinto, passando davanti alla «petrosa Itaca».

Un itinerario che vede il protagonis­ta adoperarsi per ritornare nella sua patria passando attraverso infinite avventure

Il talento

Uomo astuto, dotato di grande versatilit­à, sa recitare molte parti restando sé stesso

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