Telekom Serbia e le altre Quando la commissione è un’arma (spuntata)
Oggi la richiesta di un organismo ad hoc sull’epidemia In passato molte altre «indagini» sono finite nel nulla
Asse Lega-Iv
Sulla richiesta di una commissione sulla pandemia Salvini e Italia viva concordano
Lo scontro nel 2015
Il capo leghista chiese, in contrapposizione a Renzi, un’indagine sulle banche
«D’intesa con Renzi», scandisce Matteo Salvini nel chiedere l’istituzione di «una commissione parlamentare d’inchiesta sulla pandemia», battaglia per cui chiama a raccolta anche il leader di Italia viva, che s’era già detto d’accordo. Se così fosse, se davvero i renziani confermassero la tentazione di assecondare la Lega nella ricerca parlamentare di una qualche «verità» evidentemente non rintracciabile altrove, allora darebbero prova provata che la regola aritmetica su addendi e fattori — cambiandone l’ordine, il risultato non cambia — funziona anche con le commissioni d’inchiesta. Chi di commissione ferisce, di commissione perisce; ma anche al contrario, chi di commissione perisce, di commissione ferisce.
Basta riavvolgere il nastro di qualche anno per ritrovare, a proposito dell’urlato «vogliamo una commissione d’inchiesta», Salvini e Renzi su due parti opposte della barricata. La scena vide il leader della Lega, era il dicembre del 2015, presentarsi di fronte alla sede centrale di Etruria, ad Arezzo, alla testa di un gruppo di risparmiatori della banca che aveva turbato i sonni del governo Renzi. Ne nacque un parapiglia dal quale venne fuori una commissione che non produsse nulla. Se si esclude una striminzita relazione di maggioranza, respinta sia dal centrodestra che dal M5S, in cui si evidenziava che «le attività di vigilanza (...) si sono rivelate inefficaci ai fini della tutela del risparmio». Un topolino, insomma, prodotto da una montagna che dal furore iniziale sembrava alta quanto l’Everest.
In fondo, se si escludono fenomeni storici (stragi e terrorismo) o d’attualità tristemente perenne (mafia), le commissioni d’inchiesta sono spesso diventate armi politiche nella richiesta della loro formazione, più che nelle loro risultanti. La «bufala» di una dazione di denaro a Romano Prodi e Lamberto Dini per l’acquisto di Telekom Serbia da parte di Telecom Italia, alimentata dalle dichiarazioni di un faccendiere che si chiamava Igor Marini, diede visibilità nazionale a un battagliero parlamentare di Alleanza Nazionale di nome Enzo Trantino, eletto alla presidenza di una commissione parlamentare ad hoc che non presentò nemmeno la relazione finale. Incassata una notorietà iniziale da Festival di Sanremo, salutata come l’italica versione della commissione Warren che negli Usa aveva indagato sull’omicidio Kennedy, la commissione Telekom Serbia si squagliò come un gelato su una spiaggia a Ferragosto. Lasciando cicatrici politiche, come accadde a quella sull’archivio Mitrokhin, animatore Paolo Guzzanti, che cercava di far luce sulle attività illegali dei servizi sovietici in Italia. Prima che la storia di quest’ultima si trasformasse in un incrocio tra una spy story e un b-movie — con protagonista un consulente che si chiamava Mario Scaramella — un giorno convocarono Prodi e gli chiesero conto della seduta spiritica del ’78 in cui, a casa di Alberto Clò, era venuta fuori l’indicazione «Gradoli» come luogo in cui era tenuto prigioniero Aldo Moro.
Prodi confermò la versione resa — strano ma vero — proprio nelle stanze di una commissione parlamentare, quella sull’eccidio di via Fani e l’uccisione del presidente della Dc, ma vent’anni prima. Prima ancora, agli albori delle commissioni d’inchiesta, il Parlamento aveva approfondito temi come «la disoccupazione» e «la miseria» (I legislatura), «le condizioni dei lavoratori» (II legislatura) e via via arrivando al capolavoro della X legislatura. Quando, in una specie di prova magica dell’equilibrismo istituzionale, la Camera aveva varato una commissione d’inchiesta «sulla condizione giovanile» e il Senato aveva risposto con una «sulla dignità e condizione sociale dell’anziano».