Corriere della Sera

«Così ho creato Ingenuity E pensare che all’inizio dicevano che era una follia» L’ingegnere Bob Balaram, dagli studi in India alla Nasa

- di Giovanni Caprara www.corriere.it (Nasa/Jpl-Caltech)

«Quando proponevo l’idea di far volare un elicottero su Marte tutti mi dicevano che era una follia, sempre». Nessuno ci credeva. Ma nonostante cercassero di dissuaderl­o Bob Balaram, padre del primo drone elicottero marziano, non ha abbandonat­o il suo progetto. «Fino a che il direttore del Jet Propulsion Laboratory della Nasa in California Charles Elachi — racconta da Pasadena l’ingegnere capo di Ingenuity — mi ha chiesto di elaborare un piano». Era il 2013 e la grande sfida a lungo inseguita poteva essere affrontata.

Balaram è abituato a inseguire i suoi sogni, nati da bambino quando nel sud dell’India ascoltava alla radio gli allunaggi degli astronauti. «Mio zio vedendo il mio entusiasmo scrisse al consolato Usa che ci inviò una busta piena di fotografie che divorai». Da allora la strada di Bob fu segnata: prima gli studi in ingegneria meccanica all’Indian Institute of Technology di Madras, poi la borsa di studio per il dottorato in ingegneria informatic­a al Rensselaer Poytechnic Institute, vicino a New York, che gli apre le porte del Jpl in California, la mecca dei viaggi interplane­tari. «La mia idea è nata negli anni Novanta a una conferenza all’Università di Stanford — continua —. Tornando al Jpl proposi la colaborato­ry

Non c’erano regole da seguire, nessuno l’aveva mai fatto: dovevamo inventare una nuova tecnologia e vedere se funzionava

struzione di un elicottero perché era la via migliore per volare sul Pianeta Rosso. Non fu accettata e la misi nel cassetto». Ci è rimasta lì finché Elachi non si è convinto che forse era realizzabi­le. «Mi diede otto settimane per presentare un piano dettagliat­o. Con il mio team lavorammo giorno e notte consegnand­olo due settimane in anticipo». E arrivò il primo finanziame­nto. «Ma alzarsi nell’atmosfera marziana è come volare sulla Terra a 30 chilometri di altezza. Non c’erano regole da seguire, nessuno l’aveva mai fatto. Dovevamo inventare una nuova tecnologia e dimostrare che funzionava». Così ha preso forma Ingenuity: «Era come preparare il primo volo dell’aereo dei Fratelli Wright — ricorda Balaram —. Si poteva fallire, ma sono abituato ad affrontare difficoltà. Negli ultimi sei anni ogni settimana c’era una crisi e le abbiamo superate, grazie anche alle torte di mele che mia moglie Sandy ci portava per rincuorare il gruppo... Siamo una squadra determinat­a a osare cose grandiose. Questa esperienza sarà preziosa per disegnare i futuri elicotteri più pesanti in grado di indagare canyon e tunnel lontani dal punto di sbarco e raggiungen­do luoghi pericolosi per l’uomo. Lo spirito di Ingenuity è spingere oltre la frontiera dei rover aggiungend­o la mobilità aerea. Non solo su Marte ma su corpi celesti come Venere o Titano, prossime mete della Nasa. Le buone idee non muoiono, ci vuole solo un po’ di tempo per concretizz­arle».

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Bob Balaram

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