DOMENICO CEMPELLA, SIMBOLO DI ALITALIA QUANDO AVEVA FUTURO
Se ne è andato nel silenzio quasi generale, Domenico Cempella, l’amministratore delegato di Alitalia (19962001) che sarà ricordato per averne riportato i conti in utile e aver immaginato che lo sviluppo della compagnia stava in una solida alleanza. Se ne è andato nel momento più difficile, da 20 anni a questa parte, per la compagnia: l’ennesimo schema di salvataggio che vede lo Stato impegnato a entrare nel capitale, è sotto attacco di Bruxelles. Che pretende «discontinuità» e ha posto tra le condizioni la sospensione dell’uso del brand. Un’onta senza precedenti per gli aerei con la codina tricolore, volare senza il marchio Alitalia impresso sul fianco. Come se la Ferrari dovesse rinunciare al suo «cavallino rampante».
Come siamo arrivati fin qui, lo sanno i tanti governi che si sono misurati col dossier industriale più scottante, dopo quello dell’ex Fiat, con implicazioni politiche e sociali che ne hanno segnato il destino. Domenico Cempella sapeva cosa faceva male alla sua Alitalia, l’aveva imparato facendo onestamente il suo lavoro e chiamando le cose col loro nome. Dopo aver risanato i conti della società, aveva costruito l’alleanza con l’olandese Klm per far fare a Alitalia il salto da compagnia di bandiera a vettore europeo. Ma il sogno di un grande amministratore, sostenuto da un negoziato minuzioso e scaltro, svanì nell’arco di una notte quando, nel 1999, l’allora governo D’Alema annullò il trasloco degli aerei da Linate a Malpensa, che era tra le condizioni che Klm aveva posto per aderire all’alleanza. Le ragioni? «Politiche», ebbe a raccontarmi Cempella con il suo sorriso di traverso, piegato dall’amarezza. Da quel momento, come ne «Il giorno della marmotta», Alitalia ha rivissuto più volte la stessa scena: un negoziato avviato e qualcuno che lo smonta. Spesso è stata la politica a farlo, altre volte il sindacato, o un’opinione pubblica alimentata di preconcetti dai media. Certo, molto è dipeso da chi ha guidato la compagnia: «Ci vuole competenza», diceva Cempella, che in Alitalia era entrato da impiegato e conosceva la prima regola di una compagnia aerea: azzeccare l’operativo. Non era contro lo Stato azionista, Cempella: «Serve a non svendere malamente la compagnia» sosteneva. Di certo non avrebbe mai accettato di perderne il marchio.