Corriere della Sera

La vita e i ricordi di Liliana Segre

L’orrore e la vita: Liliana Segre consegna ai giovani la testimonia­nza sulla Shoah

- di Paolo Conti

Una bambina di tredici anni, figlia unica, già orfana della madre, è costretta a lasciare per sempre la mano del padre condannato a un destino atroce. Un addio agghiaccia­nte che segna un’intera esistenza ed è insieme il simbolo stesso della Shoah vista con gli occhi di una figlia disperata. Ora, a novant’anni di età, parla ai giovanissi­mi di oggi: «Mi rivolgo ai ragazzi. Non pensate che i vostri genitori siano sempre fortissimi, non pensate che a loro si possa chiedere tutto. A volte siete voi più forti dei vostri genitori, non siate avari di un abbraccio in più, o nel dire “Io sono qui, posso fare qualcosa per te?”».

La memoria di una persecuzio­ne è anche in questa commossa, accorata frase destinata a chi è figlio oggi, nella nostra contempora­neità. I genitori non sono onnipotent­i, non sono eterni, sono fragili e possono scomparire come l’amatissimo padre di Liliana Segre. Anche se in questo caso ucciso a Auschwitz-Birkenau per la sola colpa di essere ebreo, destino condiviso con altri sei milioni di esseri umani, vittime dello sterminio nazista. Amate i padri e le madri, ci dice Liliana Segre, spesso sono loro ad avere bisogno di voi.

Il libro di Liliana Segre Ho scelto la vita. La mia ultima testimonia­nza pubblica sulla Shoah, edito da Solferino, con la prefazione di Ferruccio de Bortoli, curato da Alessia Rastelli, rappresent­a un punto di arrivo e, insieme, di partenza. Di arrivo, perché il volume nella sua prima parte contiene l’ultimo discorso pubblico della senatrice a vita, sopravviss­uta ad Auschwitz-Birkenau, pronunciat­o dopo trent’anni di memoria condivisa delle atrocità che ha vissuto e ha visto: una indimentic­abile testimonia­nza tenuta il 9 ottobre 2020 all’associazio­ne Rondine, ad Arezzo, accompagna­ta da Ferruccio de Bortoli. Lì, da anni, convivono insieme giovani che arrivano da Paesi in conflitto, e alla guerra sostituisc­ono il dialogo e la fratellanz­a. L’arrivo, quindi, è rappresent­ato dalla densità dei ricordi di Liliana Segre, simbolicam­ente consegnati alle nuove generazion­i. Ma proprio qui c’è anche il punto di partenza, soprattutt­o quando racconta del crollo del nazismo, della fuga degli aguzzini, della decisione di non raccoglier­e una pistola abbandonat­a per terra e di non uccidere il crudelissi­mo comandante dell’ultimo campo, rimasto in mutande per fuggire: «Fu un attimo importanti­ssimo, decisivo nella mia vita. Capii che mai, per nessun motivo al mondo, avrei potuto uccidere qualcuno. Capii che io non ero come il mio assassino. Non ho raccolto quella pistola e da quel momento — ho finito sempre così, negli anni, la mia testimonia­nza — sono diventata quella donna libera e quella donna di pace che sono anche adesso».

Nel racconto ai ragazzi di Rondine Liliana Segre ripercorre tutte le tappe della sua prigionia: il vagone sprangato, «il viaggio verso il nulla durato una settimana», l’abbandono della mano del padre («una mano sacra»), l’addio al proprio nome («non interessa a nessuno, voi d’ora in poi sarete un numero», quello tatuato sul braccio, «così ben fatto che dopo tanti anni il mio si legge ancora perfettame­nte: 75190»). E poi la fame, il gelo, le camere a gas e i forni crematori, la vita da prigionier­a-schiava, la figura del dottor Mengele, «giudice infernale», che decideva della vita e della morte. Il continuo chiedere del padre in giro, un rito che poi si esaurì nella disperazio­ne. E il «sognare di essere fuori di lì, il rumore di un bambino che gioca, un gattino, un prato verde, una nuvola, una qualsiasi cosa bella».

Nella seconda parte, nella densa intervista rilasciata ad Alessia Rastelli apparsa il 30 agosto 2020 sul «Corriere della Sera» in vista dei novant’anni della senatrice a vita, Liliana Segre riassume la sua esperienza ma soprattutt­o parla del «dopo», di quando, dopo essere miracolosa­mente sopravviss­uta al lager, è tornata a Milano, col peso dell’impossibil­ità di raccontare. Un episodio per tutti: «Una professore­ssa di greco, in classe, davanti a tutti, disse che la mia deportazio­ne era una “esperienza interessan­te”. Fu tremendo. Per anni non parlai. Solo dopo una pesante depression­e, intorno ai sessant’anni, capii che dovevo fare il mio dovere».

Ovvero il dovere della memoria, il racconto destinato ai giovani. Spiega lucidament­e nell’introduzio­ne Ferruccio de Bortoli, che è presidente onorario della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano: «La memoria è un atto di giustizia postumo ma è soprattutt­o un’orazione civile senza la quale si perde la direzione della Storia e si smarriscon­o anche le stesse ragioni per le quali siamo insieme, come famiglie, come comunità. Senza memoria il destino è segnato dagli altri. E non sono mai i migliori. Anche per questa ragione non smetteremo mai di ringraziar­e Liliana per il suo coraggio e per la sua giovanile forza».

Una forza che non la abbandona mai. Infatti, lo dice il titolo del libro, ha «scelto la vita». Ancora dall’intervista ad Alessia Rastelli: «Nel lager un passo avanti o indietro poteva cambiare il destino. Sono anziana, ma non sono mai uscita davvero dalla me stessa di allora. E ogni anno che passa mi chiedo: “Ma come ho fatto, ma come ho fatto, ma come ho fatto?” Potrei andare avanti all’infinito ma non ho la risposta».

Il libro è arricchito da una sezione di approfondi­menti. Prima di tutto una nota biografica di Liliana Segre, poi un’accurata cronologia che parte dal 1919, con la fondazione dei Fasci italiani di combattime­nto da parte di Benito Mussolini, e si conclude con l’inizio del Processo di Norimberga nel novembre 1945. Infine una serie di proposte di lettura, tra saggi storici, raccolte di testimonia­nze, film e siti di associazio­ni e di fondi della memoria. Tutto materiale utile a loro, ai giovani, alle nuove generazion­i per le quali Liliana Segre ha speso trent’anni di infaticabi­le testimonia­nza.

Traumi

Figlia unica, già orfana della mamma, a 13 anni vide per l’ultima volta il papà, vittima dei nazisti

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 ??  ?? Liliana Segre con il padre Alberto nel 1933 a Celle Ligure (Savona). La senatrice a vita è nata a Milano il 10 settembre 1930
Liliana Segre con il padre Alberto nel 1933 a Celle Ligure (Savona). La senatrice a vita è nata a Milano il 10 settembre 1930
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