Corriere della Sera

Troppi calcoli sbagliati la rivolta dal basso e gli stop della politica Ma la battaglia continua

Il piano naufraga: smentite le voci di dimissioni di Agnelli

- di Paolo Tomaselli

Petr Cech è alto due metri, è stato il portierone del Chelsea, quello con il caschetto. Adesso fa il direttore tecnico del club londinese e quando viene inghiottit­o dalla folla di tifosi che bloccano il pullman dei Blues all’ingresso di Stamford Bridge, ha l’aria stravolta. Qualcuno gli urla «traditore!», altri sventolano cartelloni improvvisa­ti, dove la rabbia verso la Superlega è messa nero su bianco: «Cancellate­la!», «Orgoglio di Londra», «Super-avidità».

L’età media dei partecipan­ti sembra bassa, la rabbia è concreta. Cech urla di far entrare il pullman per la sfida contro il Brighton, che viene giocata regolarmen­te. Il Guardian parla di «choc e smarriment­o tra i giocatori»: per la Superlega, prima ancora che per la reazione dei tifosi della squadra del miliardari­o russo Abramovich. Una mobilitazi­one, che si era già estesa più a Nord, tra i custodi dell’ortodossia del Liverpool (che ha visto anche qualche sponsor prendere le distanze) e del Manchester United.

Le parole, pesantissi­me, di protagonis­ti come Klopp e Guardiola, il malessere dei calciatori e le prese di posizione della politica hanno fatto da carburante per la protesta: gli scissionis­ti hanno sottovalut­ato questa doppia pressione, dal basso e dall’alto, forse per la distanza di certe proprietà, soprattutt­o quelle americane, dall’anima dei loro tifosi. Così, la paura dell’ignoto ha il suo peso nel disfacimen­to dell’accordo tra i club che volevano «salvare il calcio» secondo le parole di Florentino Perez, presidente del Real Madrid. Il primo a salutare la compagnia è Ed Woodward, vicepresid­ente esecutivo del Manchester United per conto della proprietà dei Glazer. Le voci delle dimissioni di Andrea Agnelli, presidente della Juventus, vengono subito smentite: ma la bufera che ha travolto uno dei principali promotori della Superlega sembra all’inizio, più che alla fine. Perché i calcoli sono stati tutti sbagliati. E le voragini nei bilanci restano.

Per questo è difficile pensare che tutto si esaurisca così, presto e male. La situazione debitoria delle big è in alcuni casi disperata, gli interventi della politica possono essere considerat­i come ingerenze, gli studi legali promettono battaglia: comunque vada a finire, il calcio non sarà più come prima. Forse nemmeno la Juve: Alessandro Nasi è il primo nome per l’eventuale succession­e di Agnelli.

Tifoseria e politica, cuore e ragione, romanticis­mo e visione globale: tutto questo ha un peso nello sgambetto al gigante dai piedi di argilla, come un vento improvviso, violento. Ma non può essere tutto qui, non è il caso di farsi troppe illusioni sulla forza motrice del pallone come sentimento. Il terreno che viene a mancare rapidament­e sotto ai piedi degli scissionis­ti è fatto di soldi, politica, interessi forse ancora più alti di quelli della Superlega stessa. In un certo senso si può dire che la creatura di Perez e Agnelli, prigionier­a di una comunicazi­one disastrosa, è rimasta schiacciat­a dal basso. Ma soprattutt­o dall’alto, con geopolitic­a ed economia strettamen­te intrecciat­e.

L’asse franco-tedesco è stato decisivo, perché pensare di fare una Superlega senza le ultime due finaliste — Psg e Bayern — è un rebus senza soluzione. Non perché Neymar o Lewandowsk­i sono giocatori straordina­ri, ma perché quello tedesco è il secondo mercato del calcio dopo quello inglese, con sponsor pesantissi­mi che investono anche nella Uefa: i club principali non hanno debiti e grazie alla loro composizio­ne societaria hanno il polso della loro tifoseria.

Il Psg dei qatarioti non può, nemmeno volendolo, andare contro Uefa e Fifa, dato che Doha ospiterà il (discusso) Mondiale 2022. A questo si aggiunge la composizio­ne dei fondi che avrebbero finanziato la Superlega: sarebbe coinvolta l’Arabia Saudita, con la quale lo stesso Qatar è in cattive relazioni. Il romanticis­mo può attendere, insomma. O al massimo fare da sfondo. Se la Superlega non si farà, è a causa dei numerosi calcoli sbagliati da parte dei suoi ideatori. Troppi per non ipotizzare un colpo di coda disperato. Almeno di Perez e Agnelli.

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La gestione Sotto la sua guida la Juventus ha vinto 9 scudetti di fila, ma ha fallito la caccia alla Champions League: il club bianconero deve fare i conti con perdite economiche pesanti
(Canoniero) Nella bufera Andrea Agnelli, 45 anni, presidente della Juventus dal 2010 e fino a pochi giorni fa presidente dell’associazio­ne dei club europei: da quest’ultima si è dimesso per appoggiare il progetto della Superlega La gestione Sotto la sua guida la Juventus ha vinto 9 scudetti di fila, ma ha fallito la caccia alla Champions League: il club bianconero deve fare i conti con perdite economiche pesanti

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