L’ex premier non convince il Pd «Servono parole più chiare»
È il problema irrisolto del Pd, quello che ha spinto Nicola Zingaretti a dimettersi. E ora, all’indomani dell’uscita di Beppe Grillo, si ripropone tale e quale. Ha avuto poco più di un mese di navigazione tranquilla Enrico Letta, e in questo momento certo nessuno cercherà di minarne la leadership, ma il problema resta. Con l’interrogativo che si porta appresso e che una parte del Partito democratico continua a porsi: «Perché un’alleanza organica con i 5 Stelle?».
Anzi, adesso è anche più urgente quella domanda per i dem, perché dopo le pressioni del Pd, Giuseppe Conte aspetta ore prima di convincersi a parlare. Lo fa cercando di mediare tra l’ira funesta di Grillo e la tutela delle vittime. «Esercizio di arrampicata sugli specchi», lo bolla un autorevole esponente di Base riformista, la corrente degli ex renziani.
La tela dei rapporti tra dem e 5 Stelle è ancora tutta da tessere. Letta fa la spola tra Conte, Vito Crimi e Luigi Di Maio, perché ancora non si è capito chi comanda nel Movimento. E l’uscita di Grillo non aiuta. Nelle città più importanti l’accordo con il M5S non si farà. Non a Roma, dove il 20 giugno si terranno le Primarie del centrosinistra (e non è detto che alla fine della festa si decida di soprassedere) e poi si farà campagna elettorale contro Virginia Raggi, difesa da Grillo. Non a Milano, dove Beppe Sala, sicuro del fatto suo, ha detto: «No grazie, dei 5 Stelle qui non c’è bisogno».
Non a Torino, dove l’ex sindaco Piero Fassino ha già avvertito: «Qui non ci sono le condizioni per un accordo con i grillini». E nemmeno a Bologna, dove il candidato del Pd, Matteo Lepore, alle primarie se la dovrà vedere con Isabella Conti, sindaca di San Lazzaro, lanciata da Renzi. Forse solo a Napoli, delle grandi città chiamate al voto in ottobre, grillini e dem riusciranno a trovare un accordo. Però non su Roberto Fico, perché c’è stato il veto di Enzo De Luca. Forse su Gaetano Manfredi.
Ma, come si diceva, il video di Grillo ha contribuito a complicare le cose. Tant’è vero che Letta in mattinata manda in avanscoperta Beppe Provenzano per dire che le parole
Mai decollato l’asse con M5S nelle città: niente intesa a Milano, Bologna, Roma, Torino
di Grillo «sono inaccettabili» e per aggiungere, speranzoso: «Il M5S acceleri la sua transizione e con la guida di Conte abbracci comunque garanzie e principi dello Stato di diritto».
Sono le 9.29 quando l’emissario di Letta fa quel tweet. Conte continua a tacere. In compenso la deputata dem Giuditta Pini risponde sarcastica a Provenzano: «Conte ha fatto dichiarazioni molto nette di presa di distanza. Riporto qui quella che mi ha più impressionato». Segue uno spazio vuoto. Da lì è un profluvio di dichiarazioni di pd che chiedono a Conte di intervenire: «Preoccupa il suo silenzio. Da che parte sta?», osserva, per esempio, Valeria Fedeli.
Fino all’affondo di Andrea Marcucci: «Il silenzio di Conte rende molto più difficile anche il solo ipotizzare un’alleanza privilegiata con i 5 Stelle».
Passano le ore e arriva la dichiarazione dell’ex premier. Ma per una parte del Pd non è ancora abbastanza: «Non c’è nessuna vera presa di distanza», commenta Marcucci. L’alleanza Pd-M5s è da sempre appesa a un filo, Grillo lo ha strappato ma l’ex premier non è riuscito a ricucirlo del tutto.