Comunicazione e vaccini, Stati Uniti battono Europa
Rispetto alle istituzioni Usa come la Fda, quelle continentali faticano a trovare una voce unica e chiara sul tema
Se ci fosse un manuale su come «non» fare comunicazione della salute, soprattutto in tempi di emergenza, si potrebbe star sicuri che la comunicazione sui vaccini da parte di istituzioni europee e nazionali vi troverebbero un ruolo di primo piano.
All’inizio della campagna vaccinale, la comunicazione di queste istituzioni era tutta impostata sulla rassicurazione. Nessuno, o quasi, ha informato i cittadini del fatto che era possibile, su numeri così imponenti, attendersi alcuni eventi avversi anche gravi. Quasi nessuno ha spiegato che sarebbe stata mantenuta la massima vigilanza ma che nel contempo tali situazioni andavano valutate tenendo conto sia della frequenza di certe patologie nella popolazione generale, sia del più ampio bilancio tra rischi e benefici su scala collettiva.
Per avere un termine di paragone, si può fare un rapido giro sul sito o sul canale YouTube della Fda, l’ente americano che regolamenta i prodotti farmaceutici. In poche righe e con un video animato si spiega che cos’è «l’autorizzazione di emergenza» nel caso dei vaccini anti Covid-19. Dicendo che «non possiamo aspettare di avere tutti i dati necessari» ma dobbiamo «soppesare accuratamente ogni rischio noto o potenziale di questi prodotti con ogni beneficio noto o potenziale». In un altro video di due minuti sul canale della Casa Bianca, Anthony Fauci spiega le ragioni della sospensione del vaccino Johnson & Johnson. Un messaggio chiaro, franco, comprensibile. Ben diversa, purtroppo, la comunicazione in Europa. Nell’ultimo mese si è infatti passati dalla piena (ma poco argomentata) rassicurazione a comunicazioni altalenanti e contraddittorie, con iniziative autonome dei vari governi ed enti regolatori nazionali in risposta a potenziali rischi del vaccino prodotto da AstraZeneca (ad esempio, a differenza dell’Italia, altri Paesi raccomandano sotto i 55 anni la seconda dose con un vaccino diverso). Come si può pretendere che la percezione e la fiducia dei cittadini non sia segnata da questo sballottamento quotidiano e dissonante? Non sono gli stessi vaccini che avevamo comprato tutti insieme d’amore e d’accordo, in un afflato che pareva ideale per rilanciare efficacemente un’immagine di Europa finalmente unita?
Si è ripetuto purtroppo un copione a cui l’Ue ci ha abituato in vari settori. Si parte con ambizioni unitarie e coordinate, ma poi questi buoni propositi si sfaldano alla prima difficoltà. Se si era scelto di fare un patto solido per gestire le forniture, e se è l’Ema responsabile delle autorizzazioni su scala europea, allora anche la comunicazione e la gestione di crisi (ampiamente preventivabili) andava coordinata. La pagina ufficiale della Commissione europea sui vaccini anti Covid-19 ammonisce che «la disinformazione sul coronavirus abbonda», invitando a seguire solo le «fonti autorevoli». Un classico della retorica comunicativa paternalistica di questi anni: la confusione tra i cittadini la crea il video strampalato sui social, non la comunicazione istituzionale contorta e approssimativa.