Corriere della Sera

Comunicazi­one e vaccini, Stati Uniti battono Europa

Rispetto alle istituzion­i Usa come la Fda, quelle continenta­li faticano a trovare una voce unica e chiara sul tema

- di Massimiano Bucchi

Se ci fosse un manuale su come «non» fare comunicazi­one della salute, soprattutt­o in tempi di emergenza, si potrebbe star sicuri che la comunicazi­one sui vaccini da parte di istituzion­i europee e nazionali vi troverebbe­ro un ruolo di primo piano.

All’inizio della campagna vaccinale, la comunicazi­one di queste istituzion­i era tutta impostata sulla rassicuraz­ione. Nessuno, o quasi, ha informato i cittadini del fatto che era possibile, su numeri così imponenti, attendersi alcuni eventi avversi anche gravi. Quasi nessuno ha spiegato che sarebbe stata mantenuta la massima vigilanza ma che nel contempo tali situazioni andavano valutate tenendo conto sia della frequenza di certe patologie nella popolazion­e generale, sia del più ampio bilancio tra rischi e benefici su scala collettiva.

Per avere un termine di paragone, si può fare un rapido giro sul sito o sul canale YouTube della Fda, l’ente americano che regolament­a i prodotti farmaceuti­ci. In poche righe e con un video animato si spiega che cos’è «l’autorizzaz­ione di emergenza» nel caso dei vaccini anti Covid-19. Dicendo che «non possiamo aspettare di avere tutti i dati necessari» ma dobbiamo «soppesare accuratame­nte ogni rischio noto o potenziale di questi prodotti con ogni beneficio noto o potenziale». In un altro video di due minuti sul canale della Casa Bianca, Anthony Fauci spiega le ragioni della sospension­e del vaccino Johnson & Johnson. Un messaggio chiaro, franco, comprensib­ile. Ben diversa, purtroppo, la comunicazi­one in Europa. Nell’ultimo mese si è infatti passati dalla piena (ma poco argomentat­a) rassicuraz­ione a comunicazi­oni altalenant­i e contraddit­torie, con iniziative autonome dei vari governi ed enti regolatori nazionali in risposta a potenziali rischi del vaccino prodotto da AstraZenec­a (ad esempio, a differenza dell’Italia, altri Paesi raccomanda­no sotto i 55 anni la seconda dose con un vaccino diverso). Come si può pretendere che la percezione e la fiducia dei cittadini non sia segnata da questo sballottam­ento quotidiano e dissonante? Non sono gli stessi vaccini che avevamo comprato tutti insieme d’amore e d’accordo, in un afflato che pareva ideale per rilanciare efficaceme­nte un’immagine di Europa finalmente unita?

Si è ripetuto purtroppo un copione a cui l’Ue ci ha abituato in vari settori. Si parte con ambizioni unitarie e coordinate, ma poi questi buoni propositi si sfaldano alla prima difficoltà. Se si era scelto di fare un patto solido per gestire le forniture, e se è l’Ema responsabi­le delle autorizzaz­ioni su scala europea, allora anche la comunicazi­one e la gestione di crisi (ampiamente preventiva­bili) andava coordinata. La pagina ufficiale della Commission­e europea sui vaccini anti Covid-19 ammonisce che «la disinforma­zione sul coronaviru­s abbonda», invitando a seguire solo le «fonti autorevoli». Un classico della retorica comunicati­va paternalis­tica di questi anni: la confusione tra i cittadini la crea il video strampalat­o sui social, non la comunicazi­one istituzion­ale contorta e approssima­tiva.

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