Corriere della Sera

L’automobile elettrica di Keynes

- di Massimo Sideri

Anatomia di una politica keynesiana pianificat­a dal governo Biden sull’industria americana dell’automobile elettrica: il presidente americano ha annunciato 2,3 trilioni di investimen­ti sulle infrastrut­ture, una cifra superiore al Pil italiano, tanto per avere un riferiment­o. Il ministro dei Trasporti Pete Buttigieg (sgomitante politico che ambisce alla leadership dei democratic­i) ha subito fatto i conti. Circa 173 miliardi saranno usati per supportare il settore della mobilità elettrica. Buttigieg ha scritto su Twitter: «Immaginate questo: i lavoratori americani che costruisco­no Ev (electric vehicle) di qualità ma accessibil­i a tutti i consumator­i e installano 500 mila stazioni di ricarica» su tutto il territorio degli Stati Uniti. Anche qui un numero di riferiment­o: le stazioni di servizio per le automobili a benzina sono, negli Usa, meno della metà. Tutto chiarament­e con soldi pubblici: sarà la più grande politica keynesiana di supporto all’industria dell’auto elettrica. Le infrastrut­ture sono da sempre geopolitic­a (è così dalla via della seta e delle spezie); così diventano anche geopolitic­a tecnologic­a. In Europa, a parte qualche fuga individual­e dei Paesi nordici, si parla di incentivi fiscali per posizionar­e le colonnine per la ricarica nei condomini. Esiste un’unica via «elettrica» che collega il Nord Europa al Sud. E, per inciso, si ferma nel Lazio. Si potrebbe discutere a lungo su tutti gli interrogat­ivi legati a questa decisione politica di Biden: 1) Ma le auto elettriche sono sul serio sostenibil­i con le attuali tecnologie delle batterie? 2) Come viene prodotta tutta questa energia? 3) Il sistema elettrico Usa, famoso per i buchi nella rete e i black out in California dove la Tesla è nata, reggerà? 4) Cosa accadrà all’industria dei car-maker tradiziona­li? Il piano fungerà da stimolo per riconverti­rsi? Buttigieg è un politico: «Questo non è un lontano futuro. È l’American jobs plan». Un pizzico retorico, certo, ma è così che funziona la politica industrial­e. La si può fare rivolta al passato (decidiamo di sostenere le industrie tradiziona­li o i modelli che non funzionano, come abbiamo fatto per anni con Alitalia), o al futuro (si cerca di capire quale sarà l’industria del futuro da sostenere). La formula è sempre di Keynes: all’occupazion­e bisogna sommare le nuove profession­i e sottrarre i vecchi lavori, usando i soldi pubblici per la transizion­e.

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