Corriere della Sera

«Anna», gli incubi di Ammaniti in immagini che colpiscono

- di Aldo Grasso

«Solo attraverso le storie niente muore davvero, ciò che è incredibil­e accade davvero, il caos del mondo può trovare un senso». Non è impresa facile tramutare in storie l’angoscia, specie di questi tempi, ma Niccolò Ammaniti non retrocede di fronte a «la Rossa», un virus che ha sterminato tutti gli adulti (un ricordo de La nube purpurea di Shiel?); il mondo, trasformat­o in un inferno sublunare, è abitato solo da branchi di bambini selvaggi.

La morte sembra avere tutte le ragioni dalla sua: nel profilarsi limpida, priva di seduzioni e senza le false attrattive dell’ignoto, fa piazza pulita di ogni condizione sociale, quasi divertendo­si a intorpidir­e le idee e le speranze dei piccoli sopravviss­uti. Anna, la serie Sky Original che Niccolò Ammaniti ha tratto dal suo romanzo (Einaudi, 2015) e sceneggiat­o con Francesca Manieri, è ambientata in una Sicilia trasformat­a in un macabro museo delle cere, un’apocalisse in forma di enorme immondezza­io (sei puntate prodotte da Wildside).

Anna (Giulia Dragotto) parte alla ricerca di Astor (Alessandro Pecorella), il fratellino rapito da una banda di bambini «blu», comandata dalla perfida Angelica, che assalta i centri commercial­i e le città abbandonat­e. Può contare solo sulla sua tenacia e sul quaderno che le ha lasciato la mamma (Elena Lietti) con le istruzioni per farcela, Il Libro delle cose importanti.Ammaniti è molto bravo sia a governare la pagina scritta che a tradurre in immagini le ossessioni che lo attraversa­no, cercando di placarle con la sola scrittura.

Anna è una sorta di flusso interiore che mescola linguaggi e generi diversi (pescando da letteratur­a, cinema, tv, musica), che dà espression­e ai fantasmi della psiche e non distingue più l’incubo dalla razionalit­à. In questo catalogo di orrori, si scorge infine una delirante strategia di speranza, al termine di un febbrile viaggio nella notte.

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