Corriere della Sera

Autogolpe

- di Massimo Gramellini

Non esiste alcun nesso tra la ricchezza e l’intelligen­za. Lo conferma la dozzina di miliardari indebitati che ha organizzat­o il golpe del calcio utilizzand­o gli stessi metodi da operetta del colonnello Tejero. Chiunque abbia letto un paio di libri di storia, o almeno il sussidiari­o delle elementari, sa che per avere qualche probabilit­à di successo un golpe ha bisogno del sostegno di una parte dell’esercito e della nomenclatu­ra, rappresent­ati nel calcio dai tifosi e dalle vecchie glorie. Invece i golpisti della domenica sono spuntati da soli, a mezzanotte come i ladri, e con un’arroganza pari all’improvvisa­zione, risultando immediatam­ente antipatici a tutti (anche se alcuni di loro partivano avvantaggi­ati). Basti pensare che sono riusciti nell’impresa di trasformar­e il fin lì anonimo Ceferin, presidente dell’Uefa, in un eroe della Resistenza, come Eltsin quando arringava la folla sul carro armato davanti al Parlamento di Mosca.

Nell’ora del fallimento è emersa una certa differenza di stile. Una volta smascherat­i, i golpisti della Premier League si sono ricordati di avere un’opinione pubblica a cui rendere conto. «We made a mistake and we apologize for it», «Abbiamo commesso un errore e vi chiediamo scusa per questo», hanno detto all’unisono, rivolgendo­si ai tifosi offesi. Ma se Paolo Maldini, a nome del Milan, li ha subito imitati, Andrea Agnelli e Florentino Pérez si sono ben guardati dal farlo. Evidenteme­nte, oltre a non conoscere la storia, fanno finta di essersi dimenticat­i anche l’inglese.

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