Corriere della Sera

L’irritazion­e di Draghi: è un fatto grave che fatico a comprender­e Imbarazzo di Giorgetti

Il capo del governo: avevamo preso insieme le decisioni

- di Monica Guerzoni

Così gelido e irritato, i ministri non lo avevano ancora mai visto. Mario Draghi non si aspettava lo strappo della Lega sul decreto Covid e ne ha subito colto la portata politica. «È un fatto grave», ha commentato il presidente del Consiglio a riunione ancora in corso. Durante l’ultima cabina di regia il capodelega­zione Giancarlo Giorgetti aveva garantito il voto a favore del Carroccio e invece, per dirla con la sintesi di un ministro, «poi Salvini ha forzato e si sono astenuti».

Un partito di maggioranz­a che non vota un provvedime­nto chiave per la vita sociale ed economica del Paese è un passaggio che rischia di destabiliz­zare la maggioranz­a. Draghi non lo aveva messo nel conto, tanto che venerdì, nell’ultima conferenza stampa, aveva assicurato che lui non ha bisogno di lanciare appelli all’unità, perché in Consiglio dei ministri «c’è sintonia». In cinque giorni il clima è cambiato. L’sms con cui Salvini annunciava a Draghi che la Lega «non può votare questo decreto» perché «troppo punitivo» su ristoranti, palestre e piscine, non ha sortito gli effetti sperati. Le tensioni tra i partiti e le divisioni all’interno della Lega si sono riversate sugli incontri di Palazzo Chigi.

Se il Cdm è iniziato con un’ora di ritardo è perché Draghi si è chiuso in una pre-riunione con i capi delegazion­e Giorgetti, Gelmini, Franceschi­ni,

Speranza, Bonetti. Mentre Salvini, da fuori, continuava ad alzare la voce, il premier provava a ritrovare quell’ unanimità con cui la cabina di regia aveva approvato la bozza del decreto. «In questi giorni abbiamo visto tante richieste, anche di segno opposto — esordisce Draghi —. Ci sono scienziati che ci rimprovera­no di aver aperto troppo e chi invece chi chiede di fare di più. Ma se abbiamo spiegato le riaperture come un rischio ragionato, non possiamo già rimettere tutto in discussion­e». Dove il «tutto» in sostanza è l’orario del coprifuoco, che Lega, Forza Italia, Italia viva e governator­i delle Regioni volevano spostare alle 23. Il premier si oppone con forza e chiede ai rappresent­anti dei partiti di «riconferma­re lo schema dell’accordo».

Giancarlo Giorgetti era pronto a votare il provvedime­nto. Ma al momento di entrare in Cdm, la delegazion­e leghista prende tempo e resta fuori dalla porta. È a quel punto che arriva la telefonata di Salvini, con l’ordine di scuderia di non dare il via libera a un testo che lui stesso aveva definito «di buon senso». Il ministro dello Sviluppo non è d’accordo, eppure toccherà a lui portare la cattiva novella in Consiglio. Prima però Roberto Speranza illustra le misure del decreto e osserva che la curva del virus mostra segnali incoraggia­nti: «Con l’Rt a 0,85 possiamo dare un messaggio di ragionata fiducia». Ma ecco che Giorgetti, tradendo un qualche imbarazzo, fa mettere a verbale il no della Lega: «Per ragioni che non sto a spiegare, non possiamo votare questo decreto». Faccia sconcertat­a del premier e del sottosegre­tario Roberto Garofoli. «Non possiamo raggiunger­e un accordo in cabina di regia e poi cambiare tutto per un ultimatum che arriva da fuori», commenta Franceschi­ni. E Draghi, a dir poco seccato: «È un precedente grave, fatico a comprender­e. Le decisioni su coprifuoco e ristoranti le avevamo prese insieme».

A sera, dopo una girandola di telefonate incrociate, autorevoli fonti di governo sdrammatiz­zano con il chiaro intento di superare in fretta l’incidente. A Palazzo Chigi sperano che i dati epidemiolo­gici migliorino in fretta e non si esclude di poter presto allentare le maglie dei divieti. Intanto nella maggioranz­a monta il timore che Salvini, tallonato da Giorgia Meloni che cresce nei sondaggi, mediti l’addio al governo, ma pubblicame­nte sia il segretario che Giorgetti frenano e assicurano che la Lega «non ha obiezioni sulla linea». Se pure ne avesse, Draghi tirerebbe dritto, convinto com’è che un governo non insegue le bandierine dei partiti, ma «agisce nell’interesse generale».

Il ministro leghista era d’accordo per il sì: non possiamo per ragioni che non sto a spiegare

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A Milano Dopo le 22, allo scoccare del coprifuoco, tutta la zona del Naviglio grande si svuota e lo scenario cambia completame­nte. Poche persone intente a rientrare a casa in un silenzio rotto solo dallo scorrere dell’acqua

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