In Inghilterra la rivolta dei tifosi Johnson promette: conterete di più
Contestazione contro un calcio sempre più in mano ai soldi stranieri. Neville paragonato a Churchill
«Il calcio non è nulla senza i tifosi». La frase è di Matt Busby, leggenda del beautiful game le cui parole, impugnate come coro di battaglia dei supporter contro la Superlega, oggi suonano come un inno alla longevità e alla forza di un calcio pensato all’antica, in cui i valori sono speranza, competitività, coraggio e cuore. All’indomani del trionfo dei (piccoli) tifosi contro il (grande) business del pallone, Gary Neville, ex campione del Manchester United e della Nazionale, viene paragonato sui social a Winston Churchill, cioè un leader che nel momento più brutto ha saputo guidare il popolo verso la vittoria: tale è l’importanza, reale o percepita, del calcio nella maglia sociale inglese.
Dentro la rivolta delle tifoserie d’Oltremanica — che per tre giorni hanno protestato di fronte agli impianti e, instancabili, su Internet, televisioni e giornali — ci sono nodi mai risolti, come l’arrivo di soldi stranieri in un ambiente prettamente british e l’esclusione della grande tribù degli stadi dalla gestione delle società. Vista da Londra, rappresenta lo scontro tra il popolo e l’elite, tra indigeno e invasore: le sei squadre di Premier coinvolte nello sfortunato progetto appartengono a un oligarca russo, uno sceicco arabo e quattro miliardari, uno solo è britannico. Nessuno di loro abita in pianta stabile nel Regno Unito. Non è un caso che in un Paese dove si parla spesso di divisioni — Brexit, classi sociali, colore della pelle, Nord e Sud, monarchici e non — il nemico comune abbia creato un’insolita unità, chiamando in campo con la stessa maglietta il disoccupato di Manchester e il principe William, l’intellettuale di sinistra e il premier conservatore Boris Johnson. «Tifosi si nasce e si muore», ha sottolineato Simon Kuper, scrittore e giornalista del Financial Times. «Tutto nella vita cambia, a parte la squadra per la quale tifi».
Se sino agli anni 80 la Football Association vietava ai proprietari dei club la possibilità di trarre profitto dai loro investimenti «per assicurare che amino il calcio per quello che è», oggi la regola non esiste più: dopo un anno in cui le partite si sono viste solo in tv, con il tifo artificiale e gli stadi vuoti, gli appassionati hanno fatto sentire la loro voce e dimostrato il loro potere. Se le squadre si sono scusate con il pubblico, a loro non basta. «Questo momento segna una svolta per il calcio e lo deve essere anche per il Manchester United — ha detto il Manchester United Supporters Trust —. I Glazers (la famiglia che rilevò la squadra nel 2005,
ndr) hanno l’opportunità di cambiare direzione e aprire le porte ai tifosi con un programma di partecipazione e voto nel consiglio direttivo».
Da Stamford Bridge, il Chelsea Supporters Trust sottolinea di «non avere fiducia nella leadership della squadra», mentre da Liverpool, il gruppo Spion Kop 1906 fa sapere: «La squadra è nostra, non vostra». Johnson aveva minacciato una serie di sanzioni contro la Superlega. Il suo governo promette ora una revisione della gestione delle società da svolgere assieme ai tifosi.