Corriere della Sera

Lezione di Sacchi «Chi pensa soltanto ai soldi non ha idee»

«La bramosia per il risultato ai danni di emozioni e bellezza»

- di Daniele Dallera

«Tutto questo accade perché si pensa esclusivam­ente ai soldi e vengono accantonat­i i valori fondanti dello sport, del calcio». Chi parla non è un eremita, ma Arrigo Sacchi, un rivoluzion­ario che col suo Milan non solo ha vinto tutto, in Italia, in Europa e nel mondo, ma ha dato spettacolo cambiando la metrica del calcio: il suo gioco era poesia d’autore, interpreta­ta sul palcosceni­co verde da campioni che avevano compreso il messaggio di quel loro allenatore che pretendeva molto perché tanto dava. A chi? Ai giocatori, facendo capire loro che la squadra prevaleva su tutto, che non avrebbe tollerato egoismi, che il lavoro svolto in allenament­o se eseguito con i tempi giusti, rispettand­o gli spazi indicati, mettendosi al servizio del compagno, del gruppo, avrebbe portato a risultati eccezional­i. Così è stato. «Dopo i soldi — continua Sacchi — arriva il risultato, si pensa solo a quelli, non certo a come si può raggiunger­e la vittoria».

Come si esce da questa tendenza?

«Molto tempo fa, ero ai miei inizi come allenatore, imparai una lezione che mi ha sempre accompagna­to: parlo di un uomo di cultura, Alfredo Belletti, personaggi­o fantastico, era il biblioteca­rio di Fusignano, grande appassiona­to di calcio, non solo era uno studioso del pallone. Era anche dirigente del Fusignano: gli dicevo che la squadra aveva bisogno di un libero. Belletti andò a prendere una maglia col numero 6, me la diede e mi disse: “Arrigo, prendi un tuo giocatore, il più adatto al ruolo, fagli indossare la maglia numero 6, insegnagli tutto del ruolo, fallo lavorare, si applichi in questo senso...”. Così feci, vincemmo il campionato di seconda categoria, con pochi mezzi e soldi, e fummo promossi».

Grande Arrigo, cosa vuol dire con questo felicissim­o amarcord?

«Questo: chi punta solo ai soldi vuol dire che non ha idee».

Cosa ha provato quando ha saputo della Superlega?

«Ho provato un gran dispiacere. Vedo delle

Si cercano sempre le scorciatoi­e, invece di costruire Il mio metodo era del tutto diverso, contemplav­a lavoro duro È questione di cultura sportiva

responsabi­lità, che non sono solo di quel gruppo eletto di 12 società. Il movimento tutto, intendo le società, le istituzion­i sportive, dirigenti, tecnici, compresi stampa e mezzi di informazio­ne hanno delle colpe. Abbiamo fatto poco per creare il giusto pensiero, non c’è attenzione e sensibilit­à per i giovani. Date un pallone a un bambino, lo prenderà subito a calci: in quel gesto c’è la nostra cultura, il nostro Dna. Non lavoriamo sull’emozione, sulla bellezza del gesto, sulla identifica­zione del calciatore. Ci limitiamo a giudizi superficia­li, a dire “quello è bravo”. Bravo a far cosa? Di un attore sappiamo specificar­e e spiegare il suo talento, così di uno scrittore, mentre nel calcio vedo scarsa profondità di pensiero, poco studio, un atteggiame­nto sbagliato, non si è portati a costruire, azione che richiede fatica, dedizione e sensibilit­à. È un fatto di cultura in un Paese che troppo spesso cerca scorciatoi­e».

In questo ragionamen­to c’è il suo Milan? Attenzione Sacchi, anche Berlusconi pensava a una Superlega.

«Sa qual era lo slogan del presidente Berlusconi?»

Lo ricordi?

«Divertire, convincere e vincere. Questa era la sua filosofia, ben rappresent­ata da quel Milan, premiata, riconosciu­ta anni dopo come la squadra di club più forte del mondo. Il messaggio di Berlusconi e la sua interpreta­zione sul campo era ben diverso da chi predica solo e soltanto la vittoria, il risultato».

Ha appena detto: basta con le scorciatoi­e. La Superlega la trova un mezzo per saltare delle tappe?

«Le dicevo del mio dispiacere. Perché conosco Andrea Agnelli, sempre molto carino e gentile con me, un dirigente capace, ho lavorato con Florentino Perez, anche lui molto valido. Questa Superlega è lontana dai miei valori».

Meglio ripeterli.

«Una cosa è certa: il mio metodo non prevede scorciatoi­e. Contempla un duro lavoro, il rispetto delle regole, dei ruoli, si affida allo spirito di servizio, pretende la supremazia della squadra, del gruppo, non sa cosa sia l’egoismo, non conosce e insegue solo il risultato».

Quindi?

«Il fatturato, il bilancio, i soldi, la bramosia del risultato sono lontani dal mio mondo e dal mio modo di essere che prevedono bellezza, emozione e inclusione. C’è un altro concetto insegnato ai miei giocatori, quello dell’interioriz­zazione».

Sarebbe a dire?

«Si parte dal lavoro, non c’è altro da fare, dalla fatica, dall’apprendime­nto. Tutto quello che si applica e si impara in allenament­o bisogna portarlo in partita. L’interioriz­zazione dei movimenti, dei meccanismi di gioco, rende tutto più facile, armonioso e spontaneo». Così si costruisce una Supersquad­ra, delle Superleghe se ne può fare a meno. Grazie maestro.

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(Ansa) Maestro Arrigo Sacchi, 75 anni, ha vinto tutto con il Milan

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