LE PROSPETTIVE IN BILICO DI UN GRILLISMO SENZA PIÙ PADRI
La domanda è quanto l’archiviazione delle due principali anomalie del M5S sarà traumatica; e se segnerà la fine di una storia e l’inizio di un’altra, o sarà solo il punto di non ritorno di una crisi politica e di identità che dura da oltre un anno. La rottura con Davide Casaleggio e la piattaforma Rousseau, e la rivelazione di un Beppe Grillo così poco lucido e protervo da essere ormai impresentabile, sono uno spartiacque. Mostrano le rughe di una formazione che esita a liquidare un fondatore indifendibile, per non recidere il vecchio cordone ombelicale; e che nel rapporto irrisolto con Rousseau lascia indovinare molti segreti. Il tema non riguarda solo i Cinque Stelle, trattandosi della forza di maggioranza relativa in Parlamento. Si pone il problema di come e se il grillismo sopravviverà nell’era di Mario Draghi e del post-Covid. È una questione percepita acutamente soprattutto da un Pd costretto dai rapporti di forza a guardare in quella direzione per cementare una rete di alleanze. Fino a qualche giorno fa,
Gli ancoraggi
Le polemiche con Rousseau e l’attacco avventato di Grillo ai magistrati tolgono gli ultimi ancoraggi con il passato al M5S
sebbene con una leadership appannata, Grillo si poneva come garante. Sembrava in grado di dare almeno alcune carte.
Lui aveva confermato l’intesa col Pd e designato l’ex premier Giuseppe Conte come futuro leader. Lui era andato alle consultazioni per la formazione del governo Draghi. Lui ostentava un controllo sulle tribù grilline, che in realtà non aveva più. Ma adesso anche questa finzione è finita. E nello sfascio del M5S non è ancora chiaro se l’archiviazione ingloriosa dei capisaldi del passato favorirà l’inizio di una nuova fase. La pressione del Pd perché l’alleato esca dal limbo nel quale si è confinato da mesi è comprensibile. Il partito di Enrico Letta ha cercato di connotarsi con una strategia della discontinuità magari un po’ confusa, ma netta. Ha ridisegnato i rapporti col M5S in modo da non esserne subalterno. Ha cercato di cogliere quanto di compatibile si vuole vedere in una formazione in crisi: attraente per le quote di elettorato che potrebbe «liberare», e per i parlamentari in grado di condizionare il voto sul capo dello Stato nel 2022. Ma anche a breve termine, gli alleati sentono l’esigenza di un M5S con un leader capace di fornire indicazioni chiare sulle candidature nelle grandi città. A Bologna si assiste al tentativo renziano di mettere un cuneo nel rapporto tra Pd e grillini. E nel partito di Letta si indovinano manovre per complicare una saldatura già faticosa a Roma e Torino. Per questo, l’invito a Conte perché acceleri la metamorfosi va letto come un avvertimento. Il tempo stringe, e lavora a favore di spinte centrifughe sempre più potenti. L’eredità grillina fa gola a tutti: a sinistra come a destra.