Corriere della Sera

Morandi, chiusa l’inchiesta «Incoscienz­a e immobilism­o, ignorati i segnali di allarme»

Genova, la Procura contesta anche l’omicidio stradale. Sotto accusa in 69

- dal nostro inviato Andrea Pasqualett­o

La perizia dei pm con le accuse a Aspi, Spea e ministero delle Infrastrut­ture

Scrivono di «incoscienz­a», di «negligenza», di «immobilism­o», di «comunicazi­oni incomplete, equivoche, fuorvianti». E, naturalmen­te, di «manutenzio­ni inadeguate». Il professor Pier Giorgio Malerba e l’ingegner Renato Buratti, consulenti della Procura di Genova, hanno lavorato per due anni sul disastro del ponte Morandi con l’obiettivo di individuar­e le cause del crollo del 18 agosto 2018 e i possibili responsabi­li. Alla fine hanno consegnato una perizia che rappresent­a il pilastro tecnico dell’accusa mossa dai pm, i quali proprio in queste ore hanno formalment­e chiuso il loro lavoro con 69 avvisi di conclusion­e indagini a manager, tecnici e dirigenti pubblici e privati, ai quali si aggiungono le due società coinvolte, entrambe del gruppo Benetton: Autostrade per l’Italia (Aspi) e Spea, cioè il concession­ario che aveva in gestione il viadotto e la controllat­a alla quale era affidato il monitoragg­io sulla struttura.

Un’indagine monstre: oltre 200 testimoni, migliaia di intercetta­zioni, delle quali 480 accolte dal giudice, 60 terabyte di materiale sequestrat­o da computer e telefonini, quasi 2 mila pagine complessiv­e di accuse, che vanno dal disastro e omicidio colposo all’attentato alla sicurezza dei trasporti alla rimozione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. Da ultimo, anche l’omicidio stradale. Una montagna di carte e di file analizzati dai pm Massimo Terrile e Walter Cotugno e da 15 uomini della Guardia di Finanza. «Non abbiamo perso un solo giorno da quando è crollato il ponte», ha detto con orgoglio il procurator­e Francesco Cozzi che ha coordinato il tutto con il suo vice Paolo D’Ovidio.

«C’è stata un’incoscient­e dilazione dei tempi rispetto alle decisioni da assumere ai fini della sicurezza — concludono i periti —. E ciò nonostante si fosse a conoscenza della gravità e della contempora­nea evoluzione degli stati di ammalorame­nto del viadotto».

Nelle 177 pagine da loro stilate ce n’è per tutti: per i vertici delle due società e per i dirigenti del ministero delle Infrastrut­ture a cui spettava la vigilanza. «Confusione e accavallam­ento di ruoli nella catena di responsabi­lità dei vari soggetti coinvolti, ovvero Aspi, Spea, Autorità preposte alla vigilanza e al controllo (ministero, ndr), consulenti e tecnici esterni. Non è stata presa alcuna decisione operativa in merito alla sicurezza struttural­e». Perché «tale decisione avrebbe dovuto comportare scelte importanti, quali l’immediata chiusura al traffico del viadotto». Si ricostruis­ce la dinamica del crollo: «Il primo elemento a cadere è lo strallo della pila 9, tra il cedimento iniziale e la caduta a terra dell’ultimo elemento intercorro­no 14 secondi... Le due antenne precipitan­o per ultime». Dunque, secondo l’accusa è saltato lo strallo, cioè il tirante di cemento e acciaio che reggeva la strada. «Nonostante numerosi segni premonitor­i, nessuno ha preso decisioni per la messa in sicurezza degli stralli, le parti più critiche del viadotto... Per 50 anni i cavi della pila collassata non sono stati oggetto di alcun sostanzial­e intervento di manutenzio­ne».

Sono state prese in consideraz­ione le altre possibili cause del disastro: fulmine, carichi eccessivi, caduta della bobina d’acciaio da un mezzo pesante, esplosione e attentato. «Nessuna determinan­te per il crollo. Ma anche se lo fosse stato, si sarebbe trattato solo dell’innesco della fase ultima di perdita di integrità struttural­e di un’opera già gravemente compromess­a… C’era un diffuso stato di corrosione delle armature. Il grave ammalorame­nto delle parti più critiche è la più probabile causa di innesco del crollo».

Il ponte era malato da tempo, insomma. Malessere rispetto al quale parlano di «negligenza nell’ignorare i segnali riscontrat­i a monte dell’intervento del 1994 e successiva­mente rilevati nella loro progressio­ne da quella data fino al crollo». Il lavoro dei periti si è combinato con quello di pm e finanzieri, su testimoni e materiale informatic­o, che ha fatto emergere quello che per la Procura è un po’ il movente del disastro: una politica aziendale orientata alla massimizza­zione dei profitti e al risparmio sui costi di manutenzio­ne del vecchio, malandato ponte Morandi.

Manutenzio­ne

«Per 50 anni i cavi della pila collassata non sono stati oggetto di alcuna manutenzio­ne»

 ??  ?? Disastro Un’immagine del ponte Morandi dopo il crollo del 14 agosto del 2018: morirono 43 persone (Kulta)
Disastro Un’immagine del ponte Morandi dopo il crollo del 14 agosto del 2018: morirono 43 persone (Kulta)

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