Morandi, chiusa l’inchiesta «Incoscienza e immobilismo, ignorati i segnali di allarme»
Genova, la Procura contesta anche l’omicidio stradale. Sotto accusa in 69
La perizia dei pm con le accuse a Aspi, Spea e ministero delle Infrastrutture
Scrivono di «incoscienza», di «negligenza», di «immobilismo», di «comunicazioni incomplete, equivoche, fuorvianti». E, naturalmente, di «manutenzioni inadeguate». Il professor Pier Giorgio Malerba e l’ingegner Renato Buratti, consulenti della Procura di Genova, hanno lavorato per due anni sul disastro del ponte Morandi con l’obiettivo di individuare le cause del crollo del 18 agosto 2018 e i possibili responsabili. Alla fine hanno consegnato una perizia che rappresenta il pilastro tecnico dell’accusa mossa dai pm, i quali proprio in queste ore hanno formalmente chiuso il loro lavoro con 69 avvisi di conclusione indagini a manager, tecnici e dirigenti pubblici e privati, ai quali si aggiungono le due società coinvolte, entrambe del gruppo Benetton: Autostrade per l’Italia (Aspi) e Spea, cioè il concessionario che aveva in gestione il viadotto e la controllata alla quale era affidato il monitoraggio sulla struttura.
Un’indagine monstre: oltre 200 testimoni, migliaia di intercettazioni, delle quali 480 accolte dal giudice, 60 terabyte di materiale sequestrato da computer e telefonini, quasi 2 mila pagine complessive di accuse, che vanno dal disastro e omicidio colposo all’attentato alla sicurezza dei trasporti alla rimozione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. Da ultimo, anche l’omicidio stradale. Una montagna di carte e di file analizzati dai pm Massimo Terrile e Walter Cotugno e da 15 uomini della Guardia di Finanza. «Non abbiamo perso un solo giorno da quando è crollato il ponte», ha detto con orgoglio il procuratore Francesco Cozzi che ha coordinato il tutto con il suo vice Paolo D’Ovidio.
«C’è stata un’incosciente dilazione dei tempi rispetto alle decisioni da assumere ai fini della sicurezza — concludono i periti —. E ciò nonostante si fosse a conoscenza della gravità e della contemporanea evoluzione degli stati di ammaloramento del viadotto».
Nelle 177 pagine da loro stilate ce n’è per tutti: per i vertici delle due società e per i dirigenti del ministero delle Infrastrutture a cui spettava la vigilanza. «Confusione e accavallamento di ruoli nella catena di responsabilità dei vari soggetti coinvolti, ovvero Aspi, Spea, Autorità preposte alla vigilanza e al controllo (ministero, ndr), consulenti e tecnici esterni. Non è stata presa alcuna decisione operativa in merito alla sicurezza strutturale». Perché «tale decisione avrebbe dovuto comportare scelte importanti, quali l’immediata chiusura al traffico del viadotto». Si ricostruisce la dinamica del crollo: «Il primo elemento a cadere è lo strallo della pila 9, tra il cedimento iniziale e la caduta a terra dell’ultimo elemento intercorrono 14 secondi... Le due antenne precipitano per ultime». Dunque, secondo l’accusa è saltato lo strallo, cioè il tirante di cemento e acciaio che reggeva la strada. «Nonostante numerosi segni premonitori, nessuno ha preso decisioni per la messa in sicurezza degli stralli, le parti più critiche del viadotto... Per 50 anni i cavi della pila collassata non sono stati oggetto di alcun sostanziale intervento di manutenzione».
Sono state prese in considerazione le altre possibili cause del disastro: fulmine, carichi eccessivi, caduta della bobina d’acciaio da un mezzo pesante, esplosione e attentato. «Nessuna determinante per il crollo. Ma anche se lo fosse stato, si sarebbe trattato solo dell’innesco della fase ultima di perdita di integrità strutturale di un’opera già gravemente compromessa… C’era un diffuso stato di corrosione delle armature. Il grave ammaloramento delle parti più critiche è la più probabile causa di innesco del crollo».
Il ponte era malato da tempo, insomma. Malessere rispetto al quale parlano di «negligenza nell’ignorare i segnali riscontrati a monte dell’intervento del 1994 e successivamente rilevati nella loro progressione da quella data fino al crollo». Il lavoro dei periti si è combinato con quello di pm e finanzieri, su testimoni e materiale informatico, che ha fatto emergere quello che per la Procura è un po’ il movente del disastro: una politica aziendale orientata alla massimizzazione dei profitti e al risparmio sui costi di manutenzione del vecchio, malandato ponte Morandi.
Manutenzione
«Per 50 anni i cavi della pila collassata non sono stati oggetto di alcuna manutenzione»