«PER UNA FOTO SERVONO ANNI» LA ROMANA BARBARA DALL’ANGELO INSEGUE AURORE BOREALI E TRAMONTI «LA PROGRAMMAZIONE È CRUCIALE»
Con «Corriere» e «Gazzetta» una collana in cui i grandi fotografi Nikon raccontano i segreti di un’arte. Incontro con una professionista che si divide tra cinema e obiettivo
Se vi chiedete chi ha portato in Italia «Masha e Orso», uno dei cartoon più popolari, eccola: è Barbara Dall’Angelo, una fotografa di Roma che da più di dieci anni ha due vite.
Quali sono?
«Sono nata in una famiglia di produttori e registi, ho fatto il Centro Sperimentale di Fotografia, quindi a poco più di vent’anni ho fondato la Dall’Angelo Pictures, società di distribuzione televisiva e cinematografica, della quale sono ancora Ceo. È stato così che ho portato in Italia “Masha e Orso”. Le immagini sono la mia vita da sempre. E una decina di anni fa ho deciso di sconfinare nella fotografia. Studiando moltissimo».
Ed eccola qua, tra i fotografi protagonisti della collezione «Master di Fotografia», la collana di Nikon School edita da «Corriere della Sera» e «La Gazzetta dello Sport». In particolare, lei è tra le voci del secondo volume, «Esposizione e gestione della luce» — assieme a Francesco Francia, Ivana Porta e Luigi Rota.
«Sì, ho trascorso anni a studiare la luce e nelle mie foto cerco sempre di catturare un brandello di poesia. In un’aurora boreale, in un campo fiorito, persino nella furia di un vulcano».
E come si fa a cogliere quel preciso momento?
«Una volta scelto il soggetto, inizia la parte più difficile, cioè la programmazione. Erroneamente si pensa che la foto bella sia frutto del trovarsi nel posto giusto al momento giusto, ma non è così. Nel volume, per esempio, troverete uno scatto della luna che tramonta su Rocca Calascio, nell’Aquilano. Bene, l’ho programmato esattamente un anno prima. Studio le fasi della luna, le posizioni, il meteo, tutto. Serve accuratezza perché una volta posizionato il treppiedi con reflex e 600mm non è facile spostarsi».
Però qualche volta serve rapidità, vero?
«Sì, una volta ho organizzato una partenza in dieci ore per fotografare un’aurora boreale. Per le foto di paesaggio uso sempre un treppiedi, per le foto alla luna opto per il Gitzo in fibra di carbonio GT354211S, accoppiato a una testa a sfera Really Right Stuff BK40: scelgo il più robusto che ho per via del peso dell’obiettivo».
Quanti viaggi a vuoto ha fatto nel Nord del mondo prima di catturare un’aurora boreale?
«Molti. Freddo, stanchezza. Ma poi l’aver perlustrato il posto di giorno per scegliere il luogo esatto e l’inquadratura ha pagato. Utile è stato anche un guanto nero: la luminosità dell’aurora era così intensa da bruciare le alte luci o, con un tempo di esposizione più rapido, da rendere troppo scure le ombre».
Una delle sue foto più suggestive è «Ice Cove»: un uomo con la piccozza si fa strada in una grotta di ghiaccio.
«Sì, è stata scattata in Islanda, dove ero riuscita ad unirmi a un’escursione organizzata per visitare una caverna nel ghiacciaio del Vatnajökull. Ho posizionato il treppiedi il più vicino possibile al ghiaccio. Ho optato per l’ottica Nikkor 1424mm f/2.8 che mi ha permesso di inserire nell’inquadratura gran parte della caverna e di non avere problemi di messa a fuoco».
In tutte le sue foto si vede il tentativo di celebrare la natura non tanto come una forza ineluttabile, quanto come un posto bello, pieno di poesia, un posto che viene voglia di proteggere.
«È il mio modo di fare qualcosa per l’ambiente, quella che io chiamo “arma gentile”. Ci sono tanti modi per difendere il nostro pianeta, uno è quello di mostrarlo nel suo lato più umano e dalla disarmante bellezza».
Eppure qualche volta nei suoi numerosi viaggi intorno al mondo lei ha sperimentato la violenza delle forze naturali.
«Una volta, in Groenlandia ho rischiato perché è crollata una porzione di ghiaccio a pochi passi da me. Eppure ritengo che viaggiare sia più di una passione. È un mio modo personale di vedere e conoscere le cose».
Alcune sue foto sembrano dipinti dei cosiddetti pittori «puntinisti».
«Sì, ho fatto diversi esperimenti, come quello che mi ha permesso di raggiungere un effetto pittorico al campo di fiori selvatici di Castelluccio di Norcia. Ho scelto di utilizzare la tecnica della doppia esposizione in macchina. Con il treppiedi ho fotografato una prima immagine a fuoco e poi una seconda immagine leggermente sfocata».