RAZZISMO SOTTO SEMBIANZE ANTIRAZZISTE
Qualche settimana fa un gruppo di studiosi francesi ha pubblicato un appello in difesa dell’antichità classica (Le Figaro, 21 marzo), accusata in alcune università americane di essere inscindibilmente legata a una civiltà — quella europeooccidentale — che ha prodotto razzismo, colonialismo, schiavitù. Se negli Stati Uniti i più estremisti invocano la pura e semplice cancellazione di quel campo di studi, altri apparentemente più moderati auspicano di inserire ciò che rimarrà della storia e della cultura greco-romana nel più ampio settore degli studi dell’antico Mediterraneo, insieme dunque a Egitto, Anatolia, Nord Africa. Gli uni e gli altri individuano nella cultura classica la radice di un «suprematismo bianco» consustanziale alla nostra civiltà.
Siamo evidentemente di fronte all’ennesimo episodio di quella cancel culture che, dopo aver preso di mira le figure (e le statue) di Jefferson e Lincoln risalendo più indietro fino a Cristoforo Colombo, arriva ora ad attaccare in blocco i fondamenti dell’intera tradizione europeo-occidentale. Episodi del genere vengono spesso commentati come semplicemente ridicoli o frutto di una specie di impazzimento. Ma forse, come faceva dire a uno dei suoi personaggi Shakespeare (autore anche lui criticato dalla cancel culture perché bianco), c’è una logica in questa follia. La logica, neppure troppo nascosta, consiste appunto nella critica all’intera tradizione occidentale da parte di professori e studenti che, in genere afroamericani o comunque originari di altre culture, non si riconoscono nell’America bianca e nella sua matrice europea e classica. I padri della rivoluzione americana, così come i leader della rivoluzione francese, traevano forza e idee per le loro battaglie dalla lettura dei classici. Ma negli Stati Uniti per alcuni professori dei dipartimenti di Humanities quella storia non è la loro storia e va rifiutata in blocco. Siamo di fronte a gruppi accademici ancora minoritari, ma la loro influenza è in crescita per due ragioni. L’una ha a che fare con l’evoluzione demografica degli Stati Uniti, che vede la riduzione progressiva e inesorabile della componente bianca. La seconda riguarda l’appoggio che la cancel culture riceve da parte di molti esponenti della cultura liberal, a cominciare dal New York Times che due anni fa avviò il «1619 Project», che prendeva il nome dall’anno in cui arrivò sulle coste americane il primo carico di schiavi dall’Africa. Si voleva dire che quella americana non è affatto una storia di libertà e indipendenza iniziata con l’arrivo del Mayflower nel 1620, ma solo e interamente una storia di oppressione e schiavitù causate dal dominio dei bianchi, dalla loro whiteness.
La novità, come è evidente, non sta nel ricordare che la storia americana o quella europea contengono episodi di violenza e oppressione, e che hanno prodotto anche crimini terribili. La novità risiede nel fatto che quella storia viene ora considerata totalmente e intrinsecamente criminale a causa appunto della whiteness, una cultura, una tradizione e un insieme di valori associati al colore della pelle. A ben vedere in questo modo si reintroduce la razza come criterio di interpretazione storica e di giudizio politico, riprendendo di fatto le esperienze peggiori della storia europea degli ultimi due secoli. Parola solo apparentemente
La storia americana ed europea contiene anche crimini terribili Ma non può essere analizzata in base al colore della pelle
meno indecente, la whiteness, infatti, non è altro che la razza, poiché si riferisce a un dato fisico legato in modo inesorabile ai nostri comportamenti. E questo è appunto uno dei fondamenti di qualunque ideologia razzista: in quanto abbiamo quel colore della pelle siamo inevitabilmente suprematisti bianchi. Possiamo rammaricarcene ma non possiamo cambiare poiché la whiteness ci condanna a prescindere dalle nostre azioni, secondo una concezione che reintroduce un concetto in tutto e per tutto identico a quello che Hannah Arendt definiva il «nemico oggettivo» individuato dai regimi totalitari, che perseguitavano qualcuno non per ciò che faceva ma per quello che era.
Con la cancel culture non siamo evidentemente a questo punto, ma resta non di meno sorprendente e inquietante questa rinascita di un razzismo sotto sembianze antirazziste e progressiste. Non meno sorprendente è la schematicità con cui vengono presi in considerazione soltanto gli aspetti negativi di una cultura (quella europeooccidentale), ignorando a bella posta che quella stessa cultura ha prodotto anche la democrazia e quella libertà di opinione che permette a certi professori americani di criticare Omero perché bianco.