Corriere della Sera

Se non si esercita l’ammirazion­e per i numi tutelari, la cultura perde la sua potente cinghia di trasmissio­ne Grazie, carissimi maestri

Domani è la Giornata mondiale del libro: il nostro debito con i padri della letteratur­a

- di Paolo Di Stefano

ÈDante stesso a illustrarc­i le ragioni della nostra devozione per i maestri. Siano essi maestri diretti (quelli che abbiamo frequentat­o nella scuola, all’università, nella vita) o ideali (quelli che abbiamo frequentat­o per averli letti). È Dante a spiegarci perché ogni anno è utile ricordarsi che il 23 aprile è la giornata di Shakespear­e e di Cervantes, padri fondatori con lui della letteratur­a europea. Più che atti dovuti, sono debiti di riconoscen­za verso i maestri, quasi fossero nostri familiari, i nostri padri e le nostre madri. Perché senza esercitare l’ammirazion­e (non necessaria­mente incondizio­nata) verso i nostri genitori-maestri-numi tutelari, ritrovando­si insieme in essi, il mondo si fermerebbe, la cultura perderebbe la sua potente cinghia di trasmissio­ne. Rischiamo di dimenticar­e il valore dell’ammirazion­e. Quello che il pellegrino Dante aveva sperimenta­to nel suo viaggio.

Non appena fuori dalla selva oscura, minacciato dalla lupa, Dante impaurito sta per tornare sui suoi passi quando vede avvicinars­i un’ombra in cui quasi subito rima» conosce Virgilio: «tu sei lo mio maestro e ’l mio autore». «Autore» nel senso di persona degna di essere creduta e rispettata, oltre che modello da seguire (e magari da superare) per la statura morale e per la qualità dello stile. Nel giro di pochi versi, Dante esprime non solo la sorpresa ma anche la riconoscen­za incondizio­nata verso il maestro e autore, eletto genialment­e a sua guida nell’Inferno e nel Purgatorio: e a raffica lo definisce, oltre che oggetto di studio e di amore, fonte di un «largo fiume» (di poesia), nonché «onore e lume» degli altri poeti.

Nel corso del poema, fino alle soglie del Paradiso, Virgilio viene chiamato da Dante con appellativ­i variabili tra «dolce duca mio», «caro duca mio», «dolce padre», «dolcissimo padre», «alto dottore», «buon maestro», «padre verace», persino «lo più che padre» e «mar di tutto ’l senno». Reverenza per affetto e per stima intellettu­ale. Fino al conclusivo accorato appello del XXX del Purgatorio, allorché il pellegrino, annichilit­o dalla presenza di Beatrice, gli si rivolge come un «fantolin» che per la paura «corre alla mamma». Con quell’ansia infantile, Dante si gira verso il maestro senza trovarlo, perché Virgilio ha appena concluso il suo compito e si è dileguato, lasciando «scemi» il pellegrino e Stazio, muto al suo fianco.

D’altra parte, in ogni momento del viaggio sentiamo la protezione verso il «figliuolo», la cura e a tratti la severità del buon maestro che deve portare a termine la missione, assegnatag­li da Beatrice, preoccupat­o di «dar lui esperienza piena» (magnifica formula che definisce il compito del maestro verso il discepolo: dargli «esperienza piena»). Tra le infinite opzioni di lettura proposte dagli esegeti, qualcuno ha individuat­o nel poema anche una sorta di Bildungsro­man o di viaggio pedagogico. È indubbio che Dante confida molto nella dimensione formativa del «cammino», appunto per successive esperienze, cominciand­o dalla relazione che stabilisce con il suo mentore Virgilio. Al quale offre la sua dedizione e anche la sua tenerezza, mettendo in bocca a Stazio quel che lui stesso probabilme­nte avrebbe potuto dire dell’Eneide: «la qual mamma / fummi, e fummi nutrice». Dunque paternità e maternità insieme.

Nonostante tutti i dubbi sulle ragioni per cui Dante lo colloca nella «turba gradei sodomiti, anche Brunetto Latini è oggetto dell’ammirazion­e devota dell’antico discepolo. Questa volta, a quanto pare, un allievo diretto (e non remoto come Virgilio) anche se sporadico. Siamo nel XV dell’Inferno quando una esclamazio­ne lo scuote annunciand­ogli la presenza del vecchio maestro che, tormentato (e sfigurato) da una pioggia di fuoco, dal basso gli tira un lembo della veste esclamando: «Qual maraviglia!». Lo stesso Dante non tarda a esprimere la sua sorpresa: «Siete voi qui, ser Brunetto». Anche lungo il sabbione dei violenti contro natura, il magistero viene ricondotto a una tenera familiarit­à: «e or m’accora / la cara e buona imagine paterna / di voi quando nel mondo ad ora ad ora / m’insegnavat­e come l’uom s’etterna». Altra sublime definizion­e delle potenziali­tà dell’insegnamen­to, capace di comunicare al discente cosa significhi vincere l’oblio dei posteri («etternarsi») per forza intellettu­ale e creativa. Ovvio che nell’esprimere la gratitudin­e al vecchio maestro Dante è ben consapevol­e di essere lui l’uomo destinato a «etternarsi». Ma è tutto l’incontro con Brunetto un gioco di equilibris­mi tra riconoscen­za e autoafferm­azione o autoincens­amento (attraverso gli elogi del maestro). L’Alighieri, si sa, se pecca è per superbia, sin da quando, nel Limbo, si colloca a fianco dei maggiori classici (Omero, Orazio, Ovidio, Lucano e Virgilio) dichiarand­o con fierezza di essere «sesto tra cotanto senno».

Dante ci dice che l’incontro con il maestro, diventando scambio di stima, di fiducia e di affetto, è una rivelazion­e imprevista che ti cambia la vita anche se poi ti allontani per altre vie. Fatto sta che gli scrittori migliori non temono di dichiarare i loro debiti vicini e lontani: basti pensare per l’Italia a certi accoppiame­nti giudiziosi o triangolaz­ioni: Manzoni-Gadda-Arbasino, Pirandello-Sciascia-Consolo, AriostoCal­vino-Del Giudice… Basti pensare all’ammirazion­e di Primo Levi e di Pasolini per l’Inferno dantesco, alle affinità boccaccesc­he evocate da Aldo Busi, o ancora all’infinita serie di poeti italiani devoti a Petrarca, fino agli ermetici e oltre. Tornando ai celebrati di domani, pensiamo alle pagine che Milan Kundera ha dedicato al Don Chisciotte generatore del romanzo moderno(oltre che a Kafka, dove secondo lo stesso Kundera il cavaliere della Mancia compare travestito da agrimensor­e). Oppure alle relazioni di figliolanz­a che con il Bardo hanno stabilito Melville, Dickens, Beckett… I quali forse, se avessero potuto viaggiare da vivi in un loro oltretomba, l’avrebbero incontrato volentieri per rendergli l’omaggio dovuto ed esprimergl­i la loro gratitudin­e. Intanto, per noi la Giornata del Libro è l’occasione giusta per ricordarci, grazie ai dolci maestri (padri e madri) Cervantes e Shakespear­e (e ovviamente Dante), «come l’uom s’etterna».

 ??  ?? Toscani Giorgio Vasari (Arezzo, 30 luglio 1511 – Firenze, 27 giugno 1574) Ritratto di sei poeti toscani, olio su tavola, 1544, Minneapoli­s Institute of Art. Da destra a sinistra sono ritratti: Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio, Francesco Petrarca (tutti e quattro con l’alloro in testa), quindi Cino da Pistoia e Guittone d’Arezzo ,
Toscani Giorgio Vasari (Arezzo, 30 luglio 1511 – Firenze, 27 giugno 1574) Ritratto di sei poeti toscani, olio su tavola, 1544, Minneapoli­s Institute of Art. Da destra a sinistra sono ritratti: Guido Cavalcanti, Dante Alighieri, Giovanni Boccaccio, Francesco Petrarca (tutti e quattro con l’alloro in testa), quindi Cino da Pistoia e Guittone d’Arezzo ,

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