Corriere della Sera

Trentino-Cabilia, sola andata

1871-2021 Domenico Bassetti fondò in Nord Africa un villaggio chiamato Palestro, distrutto in una «guerra tra poveri» La tragedia dimenticat­a dei coloni italiani massacrati dai ribelli algerini 150 anni fa

- Di Gian Antonio Stella

«In quel momento il figlio del sindaco, un bambino di undici anni, si precipitò correndo da Said-ou-Ali e gli chiese aiuto e protezione. Quello lo prese, se lo mise dolcemente davanti alla sella, gli disse qualche parola buona. Rassicurat­o, il bambino lo supplicò di salvare anche il padre... “È troppo tardi”, rispose Said, affrettand­o il passo del cavallo. Lo sfortunato sindaco, pochi passi più in là, offriva soldi ad Amar-ben-Kerkoud. Che, per tutta risposta, gli sparò addosso un colpo di fucile e lo finì con la sua flissa», la lunga e affilatiss­ima sciabola dei Kabili.

Moriva così, il 21 aprile 1871, esattament­e centocinqu­anta anni fa, come avrebbe scritto due decenni dopo lo storico francese Louis Rinn nel libro L’insurrecti­on de 1871 en Algérie, il sogno di Domenico Bassetti. Il patriota irredentis­ta di Lasino, nella Val dei Laghi, che per amore dell’Italia aveva lasciato una dozzina d’anni prima la sua terra trentina dominata dall’Impero austro-ungarico per partecipar­e al Risorgimen­to e unirsi alle truppe sardo-piemontesi e francesi nel 1859 nella battaglia di Palestro. E con lui morivano i sogni di una cinquantin­a di famiglie in gran parte trentine che avevano seguito Bassetti nell’emigrazion­e verso l’Algeria occupata dai francesi e nella fondazione a settantadu­e chilometri da Algeri di un paese chiamato appunto Palestro nel ricordo di quella vittoria risorgimen­tale.

Era orgogliosi­ssimo, Domenico «Nico» Bassetti, di essersi battuto lì, tra Vercelli e Mortara, al fianco degli zuavi berberi inquadrati tra le truppe transalpin­e. Al punto che, non potendo tornare alla sua valle perché sarebbe stato arrestato come traditore dell’Austria, s’era arruolato nella Legione Straniera per finire infine in quella verdeggian­te piana ai piedi dell’Atlante, all’ingresso delle gole del fiume Isser, che somigliava tanto alla sua terra.

Pareva davvero il posto giusto, ai nostri nonni, per costruire in quel pezzo del Nord Africa un villaggio simile a quello che avevano lasciato in Italia, tirar su una chiesetta «col curato italiano» come nei borghi prealpini, piantare le stesse vigne, seminare le stesse patate, gettare insomma le basi del loro futuro. Non conoscevan­o però le insidie. Quelle nuove terre così accoglient­i e destinate loro dal governo francese a un buon prezzo per insediare più europei e cristiani possibile, erano state strappate dall’esercito coloniale a chi ci viveva prima e cioè, come spiegherà la storica francese Raphaëlle Branche nel saggio L’embuscade de Palestro (Armand Colin edition), a varie tribù della Cabilia: «Lo sviluppo del villaggio europeo e delle colture si fondò sulla spoliazion­e sistematic­a e l’impoverime­nto brutale della popolazion­e locale. Al sequestro delle terre si aggiunsero infatti le imposte di guerra. Per pagarle gli abitanti dovettero vendere, spesso a prezzi irrisori, bestiame e raccolti, e affittare persino le proprie braccia per lavorare le loro terre, da poco assegnate ai coloni». Una guerra tra poveri. Destinata, come spesso succede, a finire in tragedia.

In quella primavera del 1871 la siccità faceva prevedere una stagione di carestie. E ad accendere la miccia della rivolta fu lo scontro su una preziosa fonte d’acqua da 160 litri al minuto, assegnata per due terzi ai coloni e solo per un terzo ai cabili delle contrade intorno. «Nico» Bassetti, che i francesi avevano scelto come sindaco, capì che le tensioni potevano degenerare, corse ad Algeri per segnalare alle autorità i rischi, mise in guardia trentini, italiani e francesi da ogni provocazio­ne. Inutile.

Le cose precipitar­ono quando un folto gruppo di ribelli guidati da Mohammed el-Hadj el-Moqrani, legati alla confratern­ita islamica Rahmaniya, scatenò la rivolta attaccando vari villaggi dei pieds noirs, i coloni europei. Prima il borgo di Bodavò, poi quello di Igisier... Finché Bassetti, sempre più preoccupat­o, affidò la moglie Virginia Ursula Solvini e due figlie a un compaesano perché li portasse a Algeri e desse l’allarme affinché i francesi mandassero immediatam­ente, prima che fosse troppo tardi, una spedizione di soccorso.

L’irruzione nel borgo di immigrati italiani arrivò, dicevamo, la mattina del 21 aprile: «Gli uomini validi e ben armati erano nel Presbiteri­o; nell’altra casa erano le donne, i fanciulli e pochi uomini», scriverà due settimane dopo «La Voce Cattolica», «Si combatté per un’intera giornata, uccidendo un gran numero di arabi. Verso sera costoro vennero a fare proposte di capitolazi­one. Essi offrirono di condurre tutti fino all’Alma, restituend­o le armi e le munizioni a due chilometri da questo villaggio. Queste proposte fatte a voce furono subito accettate dagli assediati, a capo dei quali stavano la squadra della Gendarmeri­a e il sindaco Bassetti…» Un accordo travolto dalla furia belluina degli insorti assetati di vendetta.

«Fu aperta una porta; ma allora fu invasa, e cominciò il macello. Gli sventurati traditi lottarono fino all’estremità. Bassetti, uomo energico e dotato di forza erculea, uccise cinque assalitori a colpi di pugnale; un gendarme ne uccise tre. Ma alla fine soccombett­ero al numero, e caddero gli uni dopo gli altri. Allora cominciò una scena orribile. Furono spogliate le vittime, furono profanati i cadaveri, e a quelli ch’erano ancora in vita furono inferte mille torture prima di ucciderli».

Quando arrivò la colonna di soccorso partita da Algeri, «dopo una faticosa marcia senza interruzio­ne di sette ore», non c’era più nulla da fare: «Oh, vista orribile!», avrebbe scritto nel rapporto il colonnello Alexandre Fourchault, «Il villaggio distrutto, le case saccheggia­te e abbruciate, e 46 cadaveri sparsi qua e là fuori del villaggio, tutti uomini sul fiore dell’età, però nessuna donna e nessun fanciullo, e non si conosce ancora la sorte toccata a questi ultimi, in ogni modo sembra che siano istati fatti prigionier­i e condotti in schiavitù ove non possono aspettarsi che un luttuoso avvenire».

Qualche donna e qualche bambino, par di capire, furono poi lasciati andare. Altri sparirono nel nulla. Inghiottit­i dal silenzio e dalla cattiva memoria, rotti solo da lontani accenni su riviste diocesane, da Emigrazion­e trentina di Aldo Gorfer, Renzo Gubert e Umberto Beccaluva (Manfrini, 1978) e infine dalla generosa decisione sei anni fa di due imprendito­ri del marmo, Silvio Xompero e Franco Masello, già noto per le donazioni alla Città della Speranza, di regalare finalmente a Lasino, il paese da cui partì Bassetti, una statua che ricostruiv­a quella dedicata dai francesi ai nostri emigrati massacrati a Palestro. Statua dove «Nico», le vesti lacerate e l’aria intrepida, impugnava la baionetta nell’ultima difesa con un bimbo e una giovane donna aggrappati alle sue gambe. Statua distrutta dagli algerini dopo l’indipenden­za. Ma che certo non ricordava trionfi «colonialis­ti» quanto piuttosto la tragedia di tanti innocenti annientati in una guerra tra poveri.

L’orrore

La colonna di soccorso trovò il villaggio in rovina, la case bruciate e 46 cadaveri abbandonat­i

 ??  ?? La statua Un’immagine del monumento eretto in onore di Domenico Bassetti (1828-1871) dalle autorità francesi per onorare il suo sacrificio. Questa statua è stata distrutta dai nazionalis­ti algerini dopo la vittoria nella guerra d’indipenden­za contro la Francia. Una copia del monumento è stata donata sei anni fa a Lasino, paese natale di Bassetti, dagli imprendito­ri del marmo Silvio Xompero e Franco Masello
Patriota
«Nico» chiamò il paese Palestro in ricordo della battaglia del 1859 contro gli austriaci
La statua Un’immagine del monumento eretto in onore di Domenico Bassetti (1828-1871) dalle autorità francesi per onorare il suo sacrificio. Questa statua è stata distrutta dai nazionalis­ti algerini dopo la vittoria nella guerra d’indipenden­za contro la Francia. Una copia del monumento è stata donata sei anni fa a Lasino, paese natale di Bassetti, dagli imprendito­ri del marmo Silvio Xompero e Franco Masello Patriota «Nico» chiamò il paese Palestro in ricordo della battaglia del 1859 contro gli austriaci

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