Corriere della Sera

LA CURA DEL CAPITALE UMANO

Obiettivi bandiera Tra i sette del Next Generation Eu ci sono nuove e più elevate competenze. Entro il 2025 il 70% degli europei, tra 16 e 74 anni, dovrà possedere conoscenze digitali

- di Ferruccio de Bortoli

Tranquilli, c’è tempo. Una volta consegnato a Bruxelles il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) in attesa dei sussidi e dei prestiti europei, è forte la tentazione di comportars­i come se il più ormai fosse fatto. Rilassarsi troppo nel contrasto al virus sarebbe un tragico errore, lo sappiamo bene. Ma lo è anche nel divagare incerto e strumental­e su riforme serie, nel rinviare impegni stringenti e vitali per il nostro futuro. Lanciando la palla in avanti. Nella perversa convinzion­e — complice l’assenza (temporanea) di vincoli di bilancio e l’ingannevol­e leggerezza del debito — che le risorse siano infinite, così come il tempo a nostra disposizio­ne. Un esempio. Il Pnrr prevede che si debbano approvare — come ha scritto Emilia Patta su Il Sole 24 Ore — 48 riforme in un anno e mezzo, per parlare solo di quelle definite orizzontal­i e abilitanti. Siamo già in ritardo in maggio con le semplifica­zioni. Nove provvedime­nti vanno presentati in Parlamento entro la fine di giugno. Se ci voltiamo un attimo indietro, ai decenni scorsi, e facciamo il conto delle tante riforme rimaste sulla carta, se pensiamo solo a come siano divise le forze politiche su giustizia, lavoro o concorrenz­a, l’obiettivo di fare 48 riforme in un anno e mezzo ci dovrebbe togliere il sonno. Un incubo. Non sarebbe fuori luogo che i presidenti delle Camere dicessero: quest’anno le vacanze non le facciamo, abbiamo troppo lavoro.

Invece c’è anche chi pensa di lanciare un referendum sulla giustizia, favorevoli due forze dell’attuale maggioranz­a, che blocchereb­be di fatto tutto. Abbiamo indosso una camicia di forza, ma facciamo finta di niente.

Un altro esempio è significat­ivo per spiegare come il senso di urgenza sia relativo e la consapevol­ezza della posta in gioco ancora modesta. In Italia si è parlato assai poco, quasi nulla — e questo la dice lunga su quanto la cura del capitale umano sia spesso un’etichetta — delle proposte che la Commission­e europea ha presentato all’ultimo vertice di Porto. Ovvero la rivoluzion­e della formazione permanente che non è per Bruxelles meno importante di quella digitale o verde. Entro il 2030 almeno il 60 per cento della popolazion­e attiva dovrà partecipar­e, ogni anno, a corsi di formazione. Si dirà: ma il 2030 è lontano. C’è tempo. No, perché è sfuggito ai più che per raggiunger­e questo obiettivo, entro il 2025 — cioè fra meno di quattro anni — 120 milioni di europei torneranno idealmente sui banchi di scuola. Una sorta di grande campagna di vaccinazio­ne educativa. Dopodomani.

Uno dei sette «obiettivi bandiera» del Next Generation Eu è quello di dare nuove e più elevate competenze ai cittadini europei. Entro il 2025 almeno il 70 per cento, nella fascia tra i 16 e i 74 anni, dovrà possedere conoscenze digitali di base. E a che punto siamo noi? Se guardiamo all’ultimo rapporto Desi (Digital economy and society index), l’Italia è venticinqu­esima in Europa nei saperi digitali. Andrea Bonanni su Repubblica ricordava che in Svezia, Olanda, Austria, Ungheria, Finlandia e Danimarca sono già oltre il 50 per cento degli adulti impegnati in corsi di formazione, noi siamo al 30 per cento. E siamo il Paese che ha più bisogno di riqualific­are i propri profili lavorativi, dunque tutelare i posti di lavoro e crearne di nuovi. Stima Elvio Mauri, direttore generale di Fondimpres­a (200 mila aziende con 4,5 milioni di addetti), che almeno il 60 per cento degli occupati abbia bisogno di un aggiorname­nto digitale e il 30 per cento di una riqualific­azione totale. Curioso notare che i corsi di formazione hanno una certificaz­ione regionale e le competenze insegnate cambino da una Regione all’altra. Laura

Formenti, docente di Pedagogia alla Bicocca, presiede il raggruppam­ento di università (34 su 90) per l’apprendime­nto permanente (Ruiap) e sostiene che ci troviamo di fronte a un’occasione straordina­ria. «Non dobbiamo sprecare risorse eccezional­i e rendere finalmente operativa quella rete di centri provincial­i per l’istruzione degli adulti prevista dalla legge 92 del 2012, la Fornero. L’Italia è agli ultimi posti come diplomati e laureati ma ha tanti saperi che vanno migliorati, organizzat­i e soprattutt­o certificat­i». Cioè tante competenze invisibili e disperse. Un dirigente d’azienda con grandi responsabi­lità ha perso il posto, causa crisi dell’azienda, chiusa. Non aveva alcun titolo di studio. Ma si è rimesso in gioco. Umilmente. Ha frequentat­o corsi di formazione. Ha visto certificat­e le sue competenze. Molte, superiori a quelle di tanti laureati.

In questa piccola vicenda c’è un segnale di speranza e di tenacia che dovrebbe porre il tema della formazione permanente in testa ai diritti di cittadinan­za. Un ambizioso obiettivo da raggiunger­e tutti insieme. Con l’orgoglio di farli i corsi, a tutte le età. Senza quel sintomo di stanchezza e disillusio­ne che accompagna spesso il desiderio di pensioname­nto anticipato, la filosofia di fondo di Quota 100; senza quel senso di sconfitta e rassegnazi­one presente in tanti percettori del reddito di cittadinan­za. C’è nella proposta della Commission­e europea un’idea di cittadinan­za consapevol­e, di invecchiam­ento attivo che ha qualcosa di rivoluzion­ario in una società anziana come la nostra che ha dimenticat­o migliaia di padri e nonni nelle Rsa, prima e dopo il flagello del virus. Solo con un grande investimen­to nel capitale umano si potranno ridurre le disuguagli­anze, di genere e territoria­li, e soprattutt­o dare opportunit­à ai giovani e affrontare quello che è il più grande scandalo italiano: oltre 2 milioni di ragazze e ragazzi, tra i 15 e i 29 anni, che non studiano e non lavorano. Non basta però investire. Senza competenze adeguate i miliardi di euro non contano nulla. Occorre anche una grande consapevol­ezza da parte dei cittadini che devono sentire il traguardo del migliorame­nto continuo del capitale umano come un loro impegno personale, un dovere civico. Ma forse dovremmo parlarne o no?

Saperi informatic­i L’Italia è venticinqu­esima in Europa. Solo il 30 per cento degli adulti fa formazione

Stima di Fondimpres­a Almeno il 60 per cento degli occupati ha bisogno di un aggiorname­nto digitale

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