Le mani sul viso e le lacrime I nostri abbracci sono cambiati
L’abbraccio è cambiato. Ieri ho abbracciato mia madre dopo quasi un anno e mezzo e ho pensato che anche gli abbracci cambiano. Per la nostra generazione e per le nostre abitudini meridionali, l’abbraccio è sempre stato il primo, banale, segno di contatto.
Da bambini e ancora da ragazzi, non si andava a letto la sera senza un abbraccio ai genitori. Ma anche da adulti, c’è sempre stata questa debolezza sentimentale: ti allontanavi per una giornata e salutavi poggiando la guancia su quella di tua madre, e — ma più severamente — anche su quella di tuo padre. Siamo cresciuti con quel rito, che il Covid ha interrotto bruscamente. Quante volte nostra madre ha detto ai numerosi figli e nipoti: mi manca l’abbraccio, non sapete quanto vorrei abbracciarvi... Per una donna (siciliana) di novant’anni è difficile rinunciare al contatto fisico con i figli. E ieri, senza togliere la mascherina, sono tornato ad abbracciarla, con cautela, avvertendo tutta la sua fragilità e la delicatezza di quel gesto, come fosse la prima volta nella vita. Come fossi nato di nuovo. Poi, guardando in fotografia le carezze rigide, le strette prolungate, la naturalezza da ritrovare, le inclinazioni dei corpi, le mani sulle spalle e sul viso, la prudenza dei gesti e quelle lacrime, mi sono detto che non sempre è facile nascere due volte.