Corriere della Sera

L’anima del borgo sommerso

In Alto Adige i lavori prosciugan­o il lago di Resia e attorno al campanile riemerge l’antico paese Scale e cantine, ecco perché quelle rovine ci parlano

- di Marco Balzano

Il lago di Resia è un bacino artificial­e a quasi 1.500 metri di altitudine in Alto Adige con 120 milioni di metri cubi di capacità. Alimenta la centrale idroelettr­ica di Glorenza che può produrre fino a 250 milioni di kw/h all’anno. Venne formato con la costruzion­e di una diga, terminata nel 1950, alla quale lavorarono 7 mila operai. La creazione dell’invaso, però, comportò la distruzion­e dei paesi di Resia e Curone Venosta, alimentand­o un forte risentimen­to della comunità sudtiroles­e contro l’Italia. Nelle ultime settimane al lago sono iniziati lavori di manutenzio­ne e il livello dell’acqua è stato abbassato. Così sono riaffiorat­i i resti sommersi e in particolar­e il campanile della chiesa di Santa Caterina d’Alessandri­a, risalente al XIV secolo e che venne restaurato nel 2009.

Turisti sulla spiaggia, a differenza di quando ci sono capitato per la prima volta e di quanto accade ogni estate, adesso ancora non ce ne sono. Forse tra qualche giorno ne arriverà qualcuno dall’Austria o dalla Svizzera, visto che i confini sembrano riaprirsi.

Chi in questo periodo metterà di nuovo piede a Curon e a Resia troverà un paesaggio più ruvido e scomposto del solito. Il campanile troneggia sempre in mezzo al lago artificial­e, placido e insieme maestoso, ma il livello dell’acqua è sceso per permettere lavori di ristruttur­azione e di riparazion­e di tubi. L’acqua si è ritirata dalla riva, che si è allungata mostrando la sua terra umida e pastosa.

È la terra del paese che non c’è più. Adesso che non è una paradossal­e cartolina turistica, Curon racconta tanto di sé. Si vedono le rovine, i pezzi della vecchia strada che congiungev­a i due paesi, i muri bassi delle abitazioni, qualche scala di maso. Il mio amico Ludwig Shöpf — un maestro elementare da un po’ di anni in pensione, che fin dalla prima volta che ho messo piede a Curon mi ha fatto da guida e da interprete per parlare con gli ultimi testimoni — mi racconta al telefono che si intravede anche qualche cantina dentro cui, fino a due settimane fa, resisteva il ghiaccio. Mi spiega, con la sua voce saggia e gioviale, come se fossimo al tavolo del bar a bere una birra, quanto resistono le cose fuori dalla nostra vista: quanto il ghiaccio nell’acqua, quanto i sassi sotto terra, quanto un tronco d’albero rotolato in un fosso.

Lo dice smorzando il pensiero con un sorriso, ma ora che lo conosco da qualche anno la sento anche attraverso il telefono la malinconia che gli vela la voce, come se l’acqua che si ritrae scoprisse anche a lui la ferita della memoria, che proprio come il ghiaccio, i sassi e i tronchi d’albero continua a vivere fuori dalla nostra vista ed è sempre pronta a riaprirsi.

Il paese che non c’è più ha dismesso per qualche giorno il suo vestito ufficiale ed è come se avesse deciso di parlarci un po’ di sé, di ricordarci della sua esistenza sommersa, specchio di molte altre storie dove i confini e il progresso diventano terribili prove di forza e si fanno parole ambigue, affilate, in odor di menzogna.

Certi luoghi sono destinati a restare magici anche loro malgrado: quando l’acqua si ritrae e la spiaggia diventa una distesa di ghiaia che il sole lentamente trasforma in zolle screpolate, si alzano mulinelli di polvere secca che volteggian­o come nuvole trascinate dal vento tra i larici e le betulle, e per le vie di Resia e Curon se ne trovano piccoli cumuli ammassati agli angoli delle vie, intorno ai lampioni, sopra i prati che a maggio sono più verdi che mai.

Quegli sbuffi di vento e sabbia sembrano la voce della gente di allora, una voce che si infila nelle orecchie e negli occhi del turista distratto e che ricorda agli abitanti di oggi — che fin da bambini hanno visto galleggiar­e il campanile nel blu cobalto del lago, che sono cresciuti con le frotte dei turisti invernali armati di sci e con quelli estivi che arrivano su pullman e motociclet­te — la storia di un progresso difficile e complicato, di una lotta impari tra una multinazio­nale e un piccolo borgo di pastori e contadini, di una memoria problemati­ca che da quel minuscolo paese si allarga al resto d’Italia, riportando­ci ad anni difficili e ormai lontani.

Poi, d’un tratto, l’acqua si ritira e ogni cosa sembra più prossima nello spazio, più vicina nel tempo. Il passato tutto ancora da interrogar­e.

 ??  ??
 ??  ?? A sinistra il lago di Resia come appare oggi (Ansa).
Sopra com'è di solito (foto Istock Dove). Sotto la pianta del paese sommerso: la linea mostra il livello dell'acqua
A sinistra il lago di Resia come appare oggi (Ansa). Sopra com'è di solito (foto Istock Dove). Sotto la pianta del paese sommerso: la linea mostra il livello dell'acqua
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy