Corriere della Sera

Delivery, menu verdi I ristoranti di domani

Alain Ducasse e René Redzepi: «Le formule nate durante il lockdown resteranno: l’alta cucina deve diventare sempre più accessibil­e» Alice Waters e Ruth Reichl: «Ripartiamo da agricoltur­a e lotta alla fame»

- di Isabella Fantigross­i

Consegne a domicilio gestite direttamen­te dai ristoranti che resteranno attive anche una volta usciti dalla pandemia. Menu sempre più vegetali per favorire la transizion­e verde in cucina. E formule di ristorazio­ne più accessibil­i. Sono queste le idee di futuro prossimo di Alain Ducasse e René Redzepi, due tra gli chef più celebri al mondo che, assieme a Karime Lopez della «Gucci Osteria» di Firenze, hanno inaugurato la giornata di ieri a Cibo a Regola d’Arte. «Ho patito molto il lockdown — ha confessato Redzepi —. In Danimarca abbiamo vissuto quest’anno un inverno brutale. A un certo punto, perciò, ho scelto di andare a lavorare tutti i giorni come se il “Noma” fosse aperto. Abbiamo studiato tre nuovi menu e uno di questi, quasi completame­nte vegetale, sarà il menu con cui riapriremo il ristorante il primo di giugno. Questa è la mia idea di futuro: una cucina capace di aiutare davvero la green transition».

Allo stesso modo, anche Ducasse non è rimasto «a subire la pandemia. Ho deciso invece di restare protagonis­ta di quello che ho scelto di fare nella mia vita». Durante il lockdown a Parigi ha organizzat­o un delivery che ogni giorno serviva 250/300 coperti. Ha aperto la sua prima gelateria e una scuola di formazione a Parigi. «E a breve aprirò un locale con formula self service, “Sapide”, in cui si mangeranno solo piatti vegetali. Naturalmen­te a prezzi accessibil­i. Il futuro ci chiede questo: mangiare meglio e meno». E così Redzepi, che sta per inaugurare un’app per la consegna a domicilio del «Noma»: «Così raggiunger­emo sempre più persone». È della stessa idea Karime Lopez: «Non potendo ancora viaggiare come prima — spiega —, il nostro compito è quello di far viaggiare con i sapori. Abbiamo scelto di vivere nella speranza e non nella paura».

Così come gli chef milanesi che ieri si sono interrogat­i sul senso, conti alla mano, di avere ancora un ristorante a Milano: «Io non posso ancora lavorare in città, non ho spazi all’esterno — spiega Andrea Berton —. Inaugurerò, spero, a inizio giugno. In ogni caso qui riaprirei ancora altri tre o quattro ristoranti: Milano resta la città delle nuove idee, degli spunti da cogliere. Noi qui a inizio pandemia abbiamo lanciato i restaurant bond — i voucher da spendere al momento della riapertura — e hanno funzionato: sono stato un atto di fiducia quasi inaspettat­o da parte dei clienti». La chiave per andare avanti, è convinta Viviana Varese, resta comunque la cucina di qualità: «Solo l’alta ristorazio­ne, quella di lusso, è in grado di valorizzar­e i piccoli fornitori che altrimenti morirebber­o: a Noto, per esempio — continua —, dove ho appena aperto un ristorante all’interno di un bed & breakfast, ho acquistato ora 15 chili di fagioli siciliani da una produttric­e locale. Era tutto il suo raccolto, l’ho comprato senza neanche chiedere il prezzo. Con la grande distribuzi­one questo non sarebbe stato possibile». Quasi una forma di solidariet­à, insomma, come quella che ha spinto Giancarlo Morelli a condivider­e lo spazio della sua grande cucina al «Bulk» di Milano con il collega Filippo La Mantia, costretto a chiudere il suo ristorante nel capoluogo per trovarne uno più piccolo e sostenibil­e. Rimasto, dunque, senza cucina profession­ale, La Mantia ora lavora da Morelli, che dice: «Anche in futuro dovremo restare uniti, non farci concorrenz­a tra colleghi ma aiutarci. Del resto Milano è la città che ha accolto le diversità anche attraverso la cucina. Questa è la strada da seguire».

Fatta di cibo sempre più locale e di recupero del rapporto con gli agricoltor­i. Ne sono convinte Lidia Bastianich — «stiamo vivendo un momento difficile per il nostro business ma cerchiamo di aiutare quanto più possibile i nostri fornitori» — e Danielle Nierenberg, presidente e cofondatri­ce di Food Tank, che hanno dialogato con Carlo Cracco: «Serve buona volontà per salvare questo settore, che non è semplice: parte dalla terra, passa per noi cuochi e arriva alla tavola». E dunque è urgente rinsaldare le reti con chi sta in cima alla filiera pro

duttiva. La pensano così Antonia Klugmann, sul palco della chiusura di Cibo a Regola d’Arte assieme alla cuoca e attivista california­na Alice Waters, pioniera negli Stati Uniti dello «slow food», e la food writer americana Ruth Reichl. «Quando il mio ristorante “Chez Panisse” è stato chiuso — ha detto Waters — abbiamo organizzat­o un mercato per aiutare i nostri agricoltor­i e pescatori. Questa è stata la priorità». Un messaggio che, secondo Reichl, «dovrà essere trasmesso anche ai più giovani. Torniamo a fare formazione e a insegnare l’importanza del cibo locale: in questo modo ci occuperemo di cucina ma anche economia, politica e società».

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Danielle Nierenberg e Lidia Bastianich
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Giancarlo Morelli, Viviana Varese e Andrea Berton
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Alice Waters e Ruth Reichl
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Nella foto grande da sinistra, Angela Frenda e Karime Lopez, sullo schermo René Redzepi e Alain Ducasse. In basso da sinistra Carlo Cracco, Antonia Klugmann, Giuseppe Iannotti e, collegati, Diego Cajelli e Roy Caceres, Claudio Liu e Giovanni Mineo
I volti Nella foto grande da sinistra, Angela Frenda e Karime Lopez, sullo schermo René Redzepi e Alain Ducasse. In basso da sinistra Carlo Cracco, Antonia Klugmann, Giuseppe Iannotti e, collegati, Diego Cajelli e Roy Caceres, Claudio Liu e Giovanni Mineo

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