Delivery, menu verdi I ristoranti di domani
Alain Ducasse e René Redzepi: «Le formule nate durante il lockdown resteranno: l’alta cucina deve diventare sempre più accessibile» Alice Waters e Ruth Reichl: «Ripartiamo da agricoltura e lotta alla fame»
Consegne a domicilio gestite direttamente dai ristoranti che resteranno attive anche una volta usciti dalla pandemia. Menu sempre più vegetali per favorire la transizione verde in cucina. E formule di ristorazione più accessibili. Sono queste le idee di futuro prossimo di Alain Ducasse e René Redzepi, due tra gli chef più celebri al mondo che, assieme a Karime Lopez della «Gucci Osteria» di Firenze, hanno inaugurato la giornata di ieri a Cibo a Regola d’Arte. «Ho patito molto il lockdown — ha confessato Redzepi —. In Danimarca abbiamo vissuto quest’anno un inverno brutale. A un certo punto, perciò, ho scelto di andare a lavorare tutti i giorni come se il “Noma” fosse aperto. Abbiamo studiato tre nuovi menu e uno di questi, quasi completamente vegetale, sarà il menu con cui riapriremo il ristorante il primo di giugno. Questa è la mia idea di futuro: una cucina capace di aiutare davvero la green transition».
Allo stesso modo, anche Ducasse non è rimasto «a subire la pandemia. Ho deciso invece di restare protagonista di quello che ho scelto di fare nella mia vita». Durante il lockdown a Parigi ha organizzato un delivery che ogni giorno serviva 250/300 coperti. Ha aperto la sua prima gelateria e una scuola di formazione a Parigi. «E a breve aprirò un locale con formula self service, “Sapide”, in cui si mangeranno solo piatti vegetali. Naturalmente a prezzi accessibili. Il futuro ci chiede questo: mangiare meglio e meno». E così Redzepi, che sta per inaugurare un’app per la consegna a domicilio del «Noma»: «Così raggiungeremo sempre più persone». È della stessa idea Karime Lopez: «Non potendo ancora viaggiare come prima — spiega —, il nostro compito è quello di far viaggiare con i sapori. Abbiamo scelto di vivere nella speranza e non nella paura».
Così come gli chef milanesi che ieri si sono interrogati sul senso, conti alla mano, di avere ancora un ristorante a Milano: «Io non posso ancora lavorare in città, non ho spazi all’esterno — spiega Andrea Berton —. Inaugurerò, spero, a inizio giugno. In ogni caso qui riaprirei ancora altri tre o quattro ristoranti: Milano resta la città delle nuove idee, degli spunti da cogliere. Noi qui a inizio pandemia abbiamo lanciato i restaurant bond — i voucher da spendere al momento della riapertura — e hanno funzionato: sono stato un atto di fiducia quasi inaspettato da parte dei clienti». La chiave per andare avanti, è convinta Viviana Varese, resta comunque la cucina di qualità: «Solo l’alta ristorazione, quella di lusso, è in grado di valorizzare i piccoli fornitori che altrimenti morirebbero: a Noto, per esempio — continua —, dove ho appena aperto un ristorante all’interno di un bed & breakfast, ho acquistato ora 15 chili di fagioli siciliani da una produttrice locale. Era tutto il suo raccolto, l’ho comprato senza neanche chiedere il prezzo. Con la grande distribuzione questo non sarebbe stato possibile». Quasi una forma di solidarietà, insomma, come quella che ha spinto Giancarlo Morelli a condividere lo spazio della sua grande cucina al «Bulk» di Milano con il collega Filippo La Mantia, costretto a chiudere il suo ristorante nel capoluogo per trovarne uno più piccolo e sostenibile. Rimasto, dunque, senza cucina professionale, La Mantia ora lavora da Morelli, che dice: «Anche in futuro dovremo restare uniti, non farci concorrenza tra colleghi ma aiutarci. Del resto Milano è la città che ha accolto le diversità anche attraverso la cucina. Questa è la strada da seguire».
Fatta di cibo sempre più locale e di recupero del rapporto con gli agricoltori. Ne sono convinte Lidia Bastianich — «stiamo vivendo un momento difficile per il nostro business ma cerchiamo di aiutare quanto più possibile i nostri fornitori» — e Danielle Nierenberg, presidente e cofondatrice di Food Tank, che hanno dialogato con Carlo Cracco: «Serve buona volontà per salvare questo settore, che non è semplice: parte dalla terra, passa per noi cuochi e arriva alla tavola». E dunque è urgente rinsaldare le reti con chi sta in cima alla filiera pro
duttiva. La pensano così Antonia Klugmann, sul palco della chiusura di Cibo a Regola d’Arte assieme alla cuoca e attivista californiana Alice Waters, pioniera negli Stati Uniti dello «slow food», e la food writer americana Ruth Reichl. «Quando il mio ristorante “Chez Panisse” è stato chiuso — ha detto Waters — abbiamo organizzato un mercato per aiutare i nostri agricoltori e pescatori. Questa è stata la priorità». Un messaggio che, secondo Reichl, «dovrà essere trasmesso anche ai più giovani. Torniamo a fare formazione e a insegnare l’importanza del cibo locale: in questo modo ci occuperemo di cucina ma anche economia, politica e società».